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L'associazione "Zaccagnini": "Che fine ha fatto il nuovo Prg?"

"Cesena si è dotata sin dal 1969 di P.R.G, precedendo la maggior parte delle città italiane. Al primo ne sono seguiti altri, nel 1985 e nel 2005, intervallati dal Piano Regolatore del Centro Storico del 1977"

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di CesenaToday

Cesena si è dotata sin dal 1969 di P.R.G, precedendo la maggior parte delle città italiane. Al primo ne sono seguiti altri, nel 1985 e nel 2005, intervallati dal Piano Regolatore del Centro Storico del 1977. I piani del 1969 e del 1977 hanno avuto il merito di fornire quadro di riferimento e regole certe ad una città in forte espansione; senza quelle regole i danni all’ambiente, sia urbano che rurale, sarebbero stati irreversibili ed il Centro Storico avrebbe subito demolizioni bel oltre quanto avvenuto.

I piani del 1985 e del 2005 si sono occupati, essenzialmente, di dotare la città di standard corretti e di salvaguardare un ambiente a rischio. A tutti questi piani, limitati alternativamente alla città dentro le mura o alla periferia, mancava, però, un’anima, un filo conduttore, l’individuazione sintetica di un progetto da realizzare con coerenza. L’individuazione e l’attuazione di questo progetto deve essere obiettivo primario del nuovo Piano Strutturale. Piano Strutturale che non ha il compito di dare indicazioni operative, ma di mettere a fuoco obiettivi e strumenti strategici per la città futura.

Per la sua definizione l’assessore all’Urbanistica ha da tempo dato un primo contributo, che presenta lacune e contraddizioni sostanziali, a cui non è seguito quel dibattito e quella riflessione che un tema così rilevante merita. Se guardiamo lucidamente alla nostra città vediamo che il suo cuore è costituito da un piccolo centro storico che, pur non presentando emergenze di particolare rilievo, appare vivace, gradevole, caratteristico e non privo di attrattive. In questa porzione di città , seppur povera di funzioni pregiate, si esauriscono gran parte dei valori urbani in quanto, oltre le mura, subito incombe una periferia spesso anonima ed un po’ sconclusionata, con l’eccezione, non trascurabile, dei quartieri di edilizia pubblica (PEEP), portatori di una discreta qualità urbanistica, e, curiosamente, delle aree interessate dalle tante nuove rotatorie che sono state, spesso, occasione di una più che dignitosa riqualificazione di ambiti anonimi e destrutturati.

Ancor oggi la città si esaurisce all’interno delle mura perché è mancata a Cesena tutta quella fase di rinnovamento edilizio e di riconfigurazione urbanistica ed architettonica, definita dalla formula del “decoro urbano ottocentesco”, che ha consentito ad altre città di allargare il centro storico con nuovi quartieri oltre le mura. In questo molto ha pesato, per Cesena, anche la povertà di funzioni amministrative e direzionali che, altrove, sono state occasione di completamento e rafforzamento morfologico. Cesena, con modeste tradizioni e funzioni urbane, centro di cultura essenzialmente contadina, grosso borgo agricolo fino al secondo dopoguerra, ha saltato tutta quella fase tipica del passaggio dal 19° al 20° secolo e si ritrova, ancor oggi, racchiusa dentro le mura, nonostante le recenti espansioni.

Al di fuori delle mura la città è cresciuta con indici particolarmente bassi e frequenti vuoti, con una edilizia assai frammentata, senza un disegno preciso, addensandosi, semplicemente, lungo le vecchie strade che portano alle città vicine, al mare, all’Appennino. Il progetto di lungo respiro di cui Cesena ha bisogno è facilmente individuabile: portare a termine il processo di trasformazione da borgo agricolo a città compiuta, estendendo “effetto città”, funzioni, tipi edilizi ed architettonici dal centro alla prima periferia; favorire uno spessore maggiore subito oltre le mura per conseguire, per il possibile, una città unitaria.

Uno spessore maggiore, un addensamento urbano che consenta il rinnovamento edilizio e sia occasione di maggior qualità urbana, ma anche di adattamento alle problematiche di risparmio energetico e di sicurezza sismica che si impongono ormai come del tutto alternativi a nuove espansioni di cui non si sente proprio necessità. Risparmio energetico ed adeguamento sismico, che quasi mai è possibile realizzare nelle vecchie costruzioni senza una sostituzione radicale del tessuto edilizio, che potrà consentire di reindirizzare nel settore delle costruzioni energie ed investimenti, senza sprecare ulteriore territorio e con l’obiettivo di una maggiore qualità urbana.

E’ auspicabile, perciò, innalzare gli indici di edificabilità della prima periferia, anche tornando ad utilizzare strumenti specifici quali il “profilo regolatore”, già introdotto nel Piano dell’85 e successivamente abbandonato anche perché indebitamente utilizzato in modo indifferenziato sia nella prima periferia che nelle estreme propaggini urbane e nelle frazioni, ove nessun addensamento è auspicabile; avendo consapevolezza che uno strumento del genere necessita di decenni prima di esplicare gli effetti attesi. D’altra parte, il Piano del 2005 assegna alle frazioni capacità edificatorie solo di poco inferiori a quelle del centro urbano, capacità edificatorie ingiustificate e controproducenti da limitare alle esigenze strettamente indispensabili, sensibilmente inferiori rispetto a quelle del centro urbano. E ancora, nuove espansioni che sottraggano ulteriori terreni agricoli sono da evitare o, almeno, da disincentivare se non hanno una precisa funzione di ricucitura morfologica e funzionale di ambiti frammentati e dequalificati.

E’ evidente che, se queste debbono essere le linee guida del nuovo Piano, la recente Variante al P.R.G. che riduce drasticamente ed uniformemente le capacità edificatorie, trattando in modo uniforme città e frazioni, senza preoccuparsi di struttura, forma, immagine e funzioni urbane non è condivisibile; così come non è condivisibile l’eliminazione di nuove aree di espansione che non sia dettata da criteri strettamente urbanistici. Il disegno di fondo che sarebbe opportuno perseguire consiste, quindi, nell’allargare il cuore della città con un Piano che, aumentando la densità edilizia della prima periferia, riducendo quella delle frazioni, e prestando, anche, forte attenzione a morfologia e disegno urbani a cui, sinora, non si è non si è prestata attenzione alcuna, allarghi l’effetto città al di fuori delle mura medioevali, contrasti la frammentazione e la dispersione edilizia e arresti la sottrazione di aree agricole, tradizionale ricchezza primaria della città. Un Piano strutturale che, per la prima volta, metta a tema la città nella sua totalità, centro storico e periferia - ed alle loro connessioni - e si ponga l’obiettivo di integrarle.

Associazione Benigno Zaccagnini

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