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Salute

Disturbi alimentari, la Regione conferma il proprio impegno per assistere chi ne soffre: "Non chiuderà nessun centro"

Così l’assessore alle Politiche per la salute, Raffaele Donini, rassicura i pazienti e i loro familiari, preoccupati dalle voci di chiusura dei centri che si occupano di queste patologie

“Noi non lasceremo solo chi soffre di un disturbo alimentare, chiediamo al Governo di fare altrettanto. Nonostante i tagli inseriti nella legge di bilancio, la Regione si impegna a garantire la cura di queste persone”. Così l’assessore alle Politiche per la salute, Raffaele Donini, rassicura i pazienti e i loro familiari, preoccupati dalle voci di chiusura dei centri che si occupano di queste patologie. "La nostra rete di assistenza e cura non subirà riduzioni - spiega Donini -, resta tuttavia un serio problema che proporrò di affrontare in Commissione nazionale salute della Conferenza Stato-Regioni: lo Stato non può abbandonare questi cittadini lasciando completamente sulle spalle delle Regioni l’onere delle cure. Solo per l’Emilia-Romagna parliamo di oltre duemila persone, tra cui minori che possono rischiare la vita. Abbiamo sul nostro territorio il 18% delle strutture pubbliche nazionali per la cura dei disturbi alimentari, non possiamo accettare che si disperda questo patrimonio. E per altre regioni meno strutturate i tagli avrebbero conseguenze anche peggiori".

I numeri in Emilia-Romagna

In Emilia-Romagna nel 2021 sono stati 2.008 i pazienti presi in carico per disturbi del comportamento alimentare, tra Centri di salute mentale (1.379 persone) e Neuropsichiatrie dell’infanzia e dell’adolescenza (629): un aumento complessivo del 27,5% rispetto all’anno precedente (1.575). Alcune situazioni diventano così gravi da richiedere il ricovero ospedaliero: complessivamente 856 persone di tutte le età, di cui 701 donne (l’81,9%). Il 91,7% (esattamente 1.264) degli assistiti nei Centri di salute mentale è di sesso femminile, mentre i maschi sono 115 (l’8,3%). La prevalenza della componente femminile si riscontra anche nei servizi per la presa in carico dei più giovani (Neuropsichiatrie dell’infanzia e dell’adolescenza) con 587 assistiti (pari al 93,3%).

Per quanto riguarda le fasce d’età, oltre due terzi degli assistiti (1.396, pari al 69,5%) si concentra tra i 12 e i 30 anni, con un incremento del 51,9% complessivo e del 124,4% tra i minori, rispetto al 2016, complice anche la pandemia da Covid che si è fatta sentire con forza sulla salute mentale, in particolare sui disturbi alimentari, rendendone l’esordio più precoce. Sono infatti aumentate le richieste di aiuto e si sono acuiti i disturbi alimentari preesistenti. In questa fascia di età sono stati 461 i casi in cui si è reso necessario uno o più ricoveri. Quanto alle diagnosi dei singoli disturbi dell’alimentazione, tra i problemi più frequenti ci sono: l’anoressia nervosa che comprende il 38,01% dei casi e la bulimia con il 26,5% di casi. 

Cosa sono i Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione

I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione rappresentano un gruppo di condizioni caratterizzate da marcata compromissione medica e psicopatologica, con un diretto impatto sullo sviluppo delle persone affette e dei loro familiari. L’eziopatogenesi è complessa e la difficoltà della gestione familiare è significativa. L’esordio avviene quasi sempre in età evolutiva. Si tratta di disturbi psichiatrici con risvolti nutrizionali e metabolici che possono mettere a rischio la vita di chi ne è affetto, con percentuali di morte che nella fascia 12-25 anni sono seconde solo a quelle degli incidenti stradali. Non è un caso se la documentazione scientifica nazionale ed internazionale raccomandi di porre la massima attenzione alla gravità e alla complessità psichiatrica, psicologica e metabolico-nutrizionale del quadro, per predisporre piani precoci ed individualizzati di trattamento quanto più rispondenti alle necessità del paziente, della sua famiglia e dell’intero contesto di riferimento. Occorre superare la frammentarietà dell’intervento e promuovere una presa in carico con un approccio basato su una rete multidisciplinare integrata di servizi, che possa offrire tutti i livelli di cura, da quello ambulatoriale a quello residenziale. La sfida assistenziale è insomma legata al buon lavoro in equipe multiprofessionale, alla prevenzione e al riconoscimento precoce dei disturbi, alla presa in carico del paziente e della sua famiglia, al lavoro di rete organizzato su più livelli e alla ricerca. Occorre facilitare la richiesta di aiuto, le conoscenze, l’accesso alle cure e soprattutto garantire la stabilità delle risorse impiegate su tutti i livelli di assistenza (dagli ambulatori ai Day Service, dai ricoveri giornalieri alla riabilitazione intensiva o estensiva residenziale).

Il fondo nazionale tagliato dalla legge di bilancio e i rischi di un mancato finanziamento

Il Fondo per il contrasto dei Dna è stato istituito nel 2003 e prevede complessivamente 25 milioni di euro su scala nazionale, di cui 1,8 milioni per la Regione Emilia-Romagna. Questi fondi hanno consentito di stabilizzare e consolidare il modello organizzativo della rete ambulatoriale basato sull’équipe multidisciplinare, sostenere la definizione, la pubblicazione e l’implementazione del Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (Pdta) Dna in ogni Ausl, attuare trattamenti di cura basati sulle evidenze scientifiche.

Non solo: la Regione ha potuto applicare gli standard di riferimento per le Unità di ricovero ospedaliero metabolico-nutrizionale urgente in degenza ordinaria, realizzare una formazione regionale co-progettata dall’Università degli Studi di Bologna, garantire interventi a supporto delle famiglie. Anziché consolidare le risorse specializzate e competenti dedicate al trattamento dei DNA per garantire la tempestività e la continuità delle cure, il mancato rifinanziamento avrebbe conseguenze significativamente negative.

Non curarsi, interrompere le cure o ricorrere a cure non adeguate può infatti condurre ad un peggioramento della prognosi e all’aumento del rischio di cronicizzazione. La riduzione delle risorse necessarie diminuirebbe infatti l’efficacia del trattamento ambulatoriale con il successivo maggiore ricorso ai ricoveri ospedalieri o a trattamenti riabilitativi più intensivi che presentano un costo molto elevato per il Servizio Sanitario Nazionale.

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