rotate-mobile
Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

“Prospettive rovesciate: storie di metamorfosi”, il laboratorio teatrale del liceo Monti torna sulla scena

Nel decimo anno della collaborazione della Spazzoli con il Liceo “Monti”, dopo una lunga pausa dal febbraio 2020 all’ottobre 2021, a causa della pandemia, il laboratorio teatrale di Istituto torna a vivere e far vivere sulla scena le sue storie

Martedì 24 maggio, alle ore 21, al teatro “A. Bonci” andrà in scena lo spettacolo “Prospettive rovesciate: storie di metamorfosi” diretto dalla regista Sabina Spazzoli e nato anche grazie al lavoro svolto dagli studenti del Liceo classico “Vincenzo Monti”. Lo spettacolo di quest’anno, che si inserisce tra le attività del Laboratorio teatrale di Istituto, è incentrato su “Mito e Utopia”, tema proposto per il triennio 2022-2024 dal Coordinamento Teatro Carcere Emilia-Romagna con cui il Liceo cesenate collabora da diversi anni e di cui la regista Sabina Spazzoli è membro. Lo spettacolo sarà replicato mercoledì 25 maggio alle 9 e alle 11,15 (solo per il Liceo Monti). 

Il tema è stato declinato sul mito, che fa da specchio della natura umana, ma anche da caleidoscopio nelle innumerevoli riletture e rivisitazioni. Lo spettacolo nasce dalle improvvisazioni proposte durante il corso. I ragazzi vengono sollecitati a immaginare storie, a reinventarle con i loro corpi, a metterle su carta, a trovare collegamenti tra testi noti, studiati in classe, a riscriverli e reinterpretarli. Il risultato è un teatro vivo, in costante stimolo creativo, improntato proprio sul poema per eccellenza dedicato alla metamorfosi, ovvero il capolavoro di Ovidio. Il testo originale è a cura di Sabina Spazzoli, Paolo Turroni, Giovanna Casalboni, Daniela Romanelli e i ragazzi del laboratorio Scenografie: Stefano Camporesi.

Il laboratorio teatrale

Nel decimo anno della collaborazione della Spazzoli con il Liceo “Monti”, dopo una lunga pausa dal febbraio 2020 all’ottobre 2021, a causa della pandemia, il laboratorio teatrale di Istituto torna a vivere e far vivere sulla scena le sue storie che in realtà sono quelle dei ragazzi: grazie allo specchio del mito ci parlano di trasformazione, di nascita e rinascita, di discesa agli inferi e di speranza. La drammaturgia di Sabina Spazzoli gioca con i corpi nello spazio creando un disegno armonico anche con la suggestiva scenografia di Stefano Camporesi, raccoglie stimoli non solo dal mondo del teatro, ma anche dall’arte figurativa, dal cinema, dalla letteratura, ma soprattutto dal vissuto dei ragazzi che emerge dalle improvvisazioni e dagli esercizi di scrittura creativa di volta in volta proposti. La regista ha raccolto la sfida di lavorare mantenendo le distanze, indossando le mascherine, dovendo fare i conti con le continue assenze per quarantene delle classi o isolamento dei ragazzi, una sfida che la magia del teatro, ma soprattutto elasticità mentale e tanta esperienza hanno permesso di vincere.

Lo spettacolo

Si parte dall’archetipo della cosmogonia: Paolo Turroni ha immaginato un prologo in cui si intersecano un testo mesopotamico, “Enuma Elish” (Quando lassù), poema della creazione, con i primi versi delle “Metamorfosi” di Ovidio. La prima grande trasformazione è quella della creazione dal nulla: come nel poema ovidiano, anche nella cosmogonia sumerica, risalente al 1700 a.C., tutto in natura si genera e rigenera in costante mutamento. La regista ha pensato, per questa nascita del mondo, ad una scena corale in cui creature fuoriescono dai bozzoli della scenografia di Stefano Camporesi, enormi tubolari, che calano dall’alto. Essi hanno i colori delle acque marine da cui tutto ha inizio. Segue una coreografia che simboleggia la nascita nello sbocciare di un fiore. Sulle tracce del mito, entra in scena la figura di Circe, signora delle metamorfosi, maga, figlia del Sole, che introduce gli spettatori alle diverse sfaccettature di metamorfosi alle quali assisteranno durante tutto lo spettacolo, a partire dai cambiamenti che la natura esercita su tutte le creature fino all’abominio della sopraffazione che conduce alla disumanizzazione.

Ad introdurla, una misteriosa figura che svela la sua identità solo nel finale. Fra versi dell'“Eneide” in latino e la canzone “Todo cambia” (del cileno Julio Numhauser, ma resa celebre dalla versione di Mercedes Sosa) si parla del mutamento insito nella vita, necessario e inevitabile, soprattutto per chi è lontano dalla sua terra. La canzone scelta dalla regista coniuga il tema del cambiamento e della lontananza. Il coro in questa scena è costituito da coloro che Circe ha trasformato in maiali e che gridano di voler tornare uomini. Nella resa scenica della regista, essi hanno però la staticità delle pietre, quasi a richiamare un altro mito metamorfico: quello della Gorgone. Ermes rivela a Circe, nella sua visione disincantata e quasi cinica del mondo, il segreto delle sue metamorfosi: gli uomini diventano ciò che sono. Ciò che scelgono di essere. Ed ecco che può iniziare il viaggio tra le trasformazioni della natura e degli uomini. Al riguardo, si può associare alla trasformazione del bruco in farfalla la trasformazione degli esseri umani. Dopo un suggestivo monologo, adattato dalla regista, ma scritto da una studentessa, sulla singolare vita delle farfalle, il nostro viaggio tra personaggi di carta, resi di carne dalla magia del teatro, ci porta al celebre monologo di Shakespeare da “Come vi piace” (“All the world is a stage...”, atto II, scena 7): l’infante, lo scolaro e via via verso l’ultima inevitabile metamorfosi.

Tra le metamorfosi ovidiane più suggestive, la regista ha scelto di concentrare le improvvisazioni dei ragazzi durante il corso su tre miti che hanno subito poi una rilettura nel corso del laboratorio: Pigmalione e Galatea, Filemone e Bauci, Narciso. In questa scena, il coro è costituito da statue, che, come Galatea, prendono vita: qualcuna più riconoscibile, come il discobolo, altre come immortalate in un attimo qualunque della vita, mentre colgono un frutto o fanno un passo di danza. Ad un tocco di Pigmalione, come sciolte da un incantesimo, ricominciano a fare quello che stavano facendo, una capriola, una corsa... La nostra Galatea però non ci sta a rientrare nel cliché della moglie ideale e ci tiene a rivelarci la sua versione del mito. Quello di Pigmalione è un amore che fa tornare a vivere o che a sua volta pietrifica?

L’altra storia scelta tra le “Metamorfosi” di Ovidio è quella di Filemone e Bauci trasformati in alberi come premio per la loro devozione agli dei. A chiudere questa scena la poesia “Dafne” di Alda Merini, un momento lirico che fonde il mito ovidiano alla coscienza inquieta del presente. Questa scena è dedicata al mito di Narciso e alle sue riletture.  L’ultima delle nostre storie di metamorfosi è la più atroce, perché è quella che lede la dignità umana. Ad aprire la scena il celebre incipit della “Metamorfosi” di Kafka: il coro è formato da insetti che cercano di alzarsi, impediti dalla nuova condizione. Il quadro passa dalla trasformazione di Gregor Samsa in scarafaggio, a quella operata sugli ebrei dal regime nazista attraverso la propaganda.

Dopo la discesa agli inferi, la distruzione del popolo ebraico, al termine del viaggio attraverso le varie declinazioni della metamorfosi è il momento per i ragazzi di sbocciare, come il fiore della creazione iniziale. Allora ecco sgorgare la gratitudine, il godere della bellezza per costruire un mondo che può e deve rinascere. In una struttura ad anello, rientra Circe, ormai sicura che gli uomini meritino i sui incantesimi, ma dialogando con la figura misteriosa che si rivela essere la Speranza, capisce che non tutto è perduto per gli uomini: metamorfosi significa anche voglia di diventare, di guardare al futuro, la metamorfosi diventa l’antidoto al nichilismo. Nel finale ogni ragazzo prosegue la “Poesia dei doni” di Borges con un suo personale ringraziamento alla vita, inframmezzato dalla poesia “Al mondo” di Andrea Zanzotto.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

“Prospettive rovesciate: storie di metamorfosi”, il laboratorio teatrale del liceo Monti torna sulla scena

CesenaToday è in caricamento