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Disturbi alimentari, pandemia e isolamento, la psicoanalista: "Maggiore richiesta di consulto"

"C'è una grande difficoltà ad accettare il proprio corpo: troppo grasso, troppo magro, non abbastanza bello secondo i canoni consueti e in alcuni casi c'è un vero e proprio dismorfismo, ovvero non vedersi così come l'immagine dello specchio riflette"

Disturbi alimentari e pandemia, c'è un legame? Cesenatoday.it lo ha chiesto ad Alide Tassinari, psicoanalista della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi e membro dell'Associazione Mondiale di Psicoanalisi. “Chiedere aiuto, portare la propria domanda a chi si occupa di questi problemi, quando ci si trova a affiancare un figlio, una figlia in difficoltà, è un primo passo”, spiega.

Tassinari ha al suo attivo articoli e pubblicazioni in riviste quali Costruzioni Psicoanalitiche, El Psicoanalisis (Rivista della Escuela de Psicoanalisis),  Attualità Lacaniana (Rivista della SLP). Recentemente ha curato con Raffaele Calabria, il testo “La ripetizione. Un concetto fondamentale della Psicoanalisi”.  Vive e lavora a Cesena, dove recentemente ha coordinato l’incontro “Tra il niente e il troppo”, con la partecipazione di Domenico Cosenza, incentrato sui disturbi alimentari.

C'è stato un aumento dei disturbi alimentari durante il periodo della pandemia?
Non ho sufficienti dati numerici per poter rispondere su questo punto, lavorando come psicoanalista solo nel mio studio. Posso però dire che c'è stata una richiesta maggiore di consulto. Ciò che la pandemia con i vari periodi di chiusura ha evidenziato è certamente un maggior disagio delle persone e fra le persone. Stare chiusi in casa per qualcuno è stato ritrovare una tranquillità, per non dovere rispondere a delle esigenze di prestazione e di confronto, per altri ha causato un grande senso di isolamento e di solitudine.

Cosa ha comportato questo?
Per gli esseri che parlano il far fronte a una difficoltà generalizzata e imprevista non ha una risposta univoca e preconfezionata. La contingenza di un incontro con un fatto improvviso e inaspettato ha dato avvio alle risposte soggettive più diverse, che si collocano lungo l'asse che va dall'angoscia, alla fobia, alla negazione. La perdita della possibilità di vita sociale in presenza o l'essere costretti a stare in un troppo di presenza in famiglia ha fatto emergere problematiche diversissime nella loro fenomenologia: un rapporto disturbato con il cibo, un utilizzo eccessivo del virtuale e delle tecnologie, maggiore litigiosità tra le persone, depressione, manie e altro. Naturalmente questi sono gli aspetti che per il mestiere che pratico ho colto. Aspetti che riguardano il disagio della civiltà che ha sempre risvolti patologici. La vita è patologica e sintomatica; c'è sempre una disfunzione, qualcosa che non è così a posto come si vorrebbe. Stare con le persone è la nostra gioia e il nostro cruccio, ma da soli non si può vivere.

Come nascono questi disturbi?
La psicoanalisi si interessa di ciò che fa problema nell'inconscio delle persone che vivono una sofferenza che non ha nulla di organico. Ma ha degli effetti potenti nella loro vita in rapporto al proprio corpo, a se stessi e agli altri. La medicina ha a che fare con le malattie e la psicoanalisi con il disagio delle persone. Disagio rimanda a un viver male ciò che dovrebbe essere vissuto con agio. Perché una persona dovrebbe avere un comportamento tale per cui è "costretta" ad affamarsi, mangiando il "niente" o abbuffarsi con il "troppo" di cibo, se il rapporto col cibo fosse così naturale come qualcuno si ostina ancora a credere? Occorre pensare che i cosiddetti disturbi alimentari, ma anche quelli che si collocano negli ambiti della dipendenza, da alcool, da droga, da sesso, testimoniano di questo profondo disagio che ha le radici in qualcosa di cui non abbiamo consapevolezza. C'è qualcosa di enigmatico tra la soggettività e la persona. Per questo noi psicoanalisti non generalizziamo e trattiamo ogni persona che si rivolge a noi, senza fare riferimento alle categorie diagnostiche, anche se ne teniamo in dovuto conto. Il primum vivere è ciò che ci guida nella salvaguardia della vita di ogni paziente e spesso alcune anoressie severe richiedono l'apporto di altri specialisti, quali medici e nutrizionisti, e di istituzioni quali le case di cura specializzate e gli ospedali.

Quali sono i disturbi alimentari più diffusi sul nostro territorio?
Quello che posso dire è che nella mia pratica incontro oggi maggiormente ragazze e ragazzi che hanno insieme a altri disagi un "cattivo rapporto" con il cibo. C'è una grande difficoltà ad accettare il proprio corpo: troppo grasso, troppo magro, non abbastanza bello secondo i canoni consueti e in alcuni casi c'è un vero e proprio dismorfismo, ovvero non vedersi così come l'immagine dello specchio riflette. Vedere altro da ciò che è l'immagine riflessa del proprio corpo. Poi c'è l'abusare del cibo per riempirsi fino a star male. I termini tecnici sono l'anoressia, che va forse più propriamente declinata al plurale: le anoressie, la bulimia e un disturbo da alimentazione incontrollata, il 'Binge eating disorder'.  E infine l'obesità.

Quale fascia di età colpiscono prevalentemente?
Questi cosiddetti disturbi, classificati nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) e che sono lì descritti e classificati, hanno spesso il loro esordio in adolescenza, quando il corpo nella pubertà si modifica e si lascia alle spalle in modo irreversibile l'infanzia. Ma ci sono casistiche che certificano di insorgenze nella prima infanzia (anche se a spesso transitorie) e nell'età adulta.

I nuovi metodi di comunicazione (tra cui i social) influiscono?
Più che influire, constato che diventano strumenti attraverso i quali i soggetti "trovano" lo spunto per indirizzare le loro pulsioni. Da sempre è nella società che le persone trovano i mezzi per soddisfarsi. Ma se la soddisfazione si articola con l'eccesso, con un 'sempre più', questo si trasforma in un malessere, in un godimento (un misto di sofferenza e piacere). Quindi non renderei "colpevoli" i social, ma metterei sull'avviso del pericolo di un utilizzo eccessivo.  Se c'è un eccesso non è per mancanza di volontà, ma si pratica un eccesso per una spinta incontrollata sottostante. Va trattato questo "non poterne fare a meno".
 
Quali consigli può dare a famiglie che si trovano con figli che manifestano sintomi di disturbi alimentari?
Sa la strada dell'inferno è lastricata dalle più buone intenzioni, non so dare consigli. Ogni situazione è a se stante. Chiedere aiuto, portare la propria domanda a chi si occupa di questi problemi, quando ci si trova a affiancare un figlio, una figlia in difficoltà, è un primo passo. Assumersi la responsabilità di andare a parlare con uno psicoanalista, anche solo per far uscire "quello che è considerato un problema", può mettere un genitore nelle condizioni di sentirsi meno angosciato e quindi più pronto a stare accanto al figlio, che è il soggetto che dovrà poi assumersi la responsabilità di una propria domanda.

Esistono strategie o comportamenti per tentare di prevenirli?
Si può prevenire ciò che fa parte dell'entrare nella società? No. La prevenzione non evita che certi disturbi si manifestino. Non abbiamo qui una causa efficiente che indirizza in una supposta prevenzione. Nascondere il problema, negarlo, non volerlo vedere, sperando che si risolva non aiuta certo. L'unica prevenzione è quello di sapere che ci sono, che sono espressioni della nostra epoca in queste forme esasperate e di conseguenza affrontarli appena se ne ha consapevolezza. Ma questa temporalità non si può prescrivere, anche se la si può favorire stando accanto a chi ancora non vive ciò come un problema e lo nega.

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