rotate-mobile
Il cittadino

Stato, Popolo o Nazione?

verde_che_scappa_bandiera_italiana-2“Ciò che fa una nazione non è il parlare la stessa lingua, né l’appartenere alla stessa stirpe etnografica, ma l’aver fatto insieme grandi cose nel passato e il volerne fare ancora nell’avvenire”. Joseph Ernest Renan, scrittore e storico francese, non poteva esprimere meglio il significato profondo che si cela dietro una delle parole più abusate del nostro tempo. Non c’è nulla di più lontano dalle agende di governo, dai programmi scolastici, perfino dalle interviste al politico di turno che approfondire il portato del termine “nazione”. Vediamo di capire perché.

Se alla domanda: “Siamo uno Stato?” la risposta è sicuramente affermativa, a quella invece: “Siamo un Popolo?”, credo che diversa gente avrebbe già qualcosa da ridire. Gli orgogliosi sardi, ad esempio, con le loro ambizioni indipendentiste (mai vista sventolare la bandiera con i quattro mori negli spalti degli stadi, nei concerti rock o nei comizi elettorali?), che non a caso chiamano il resto d’Italia “Continente”. Oppure gli altoatesini, culturalmente austriaci, che non hanno ancora accettato il Trattato di Saint-Germain del 1919 e che, giustamente, tutt’oggi si considerano sudtirolesi. Per non parlare della mentalità di svariati reazionari siciliani o calabresi, desiderosi di ripristinare oligarchie e prebende dal sapore borbonico, e per i quali Roma significa solo tasse e magna-magna. O i loro acerrimi oppositori, i leghisti duri e puri, secessionisti dichiarati e indipendentisti per statuto.

Se quindi stentiamo ad essere un popolo, come possiamo aspirare a diventare una nazione? Soprattutto, come possiamo considerarci tale se nessuno mai ce ne ha spiegato il significato e ne ha promosso pregi e vantaggi? Nazione (sinonimo, questa sì, di Patria) è una comunanza di valori e tradizioni, è un passato di cui andare fieri, è uno sguardo sul futuro in una stessa direzione. “La Patria”, sosteneva Giuseppe Mazzini in un illuminante libricino di un centinaio di pagine, scritto in “appena” vent’anni, “non è un territorio; il territorio non ne è che la base. La Patria è l’idea che sorge su quello; è il pensiero d’amore, il senso di comunione che stringe in uno tutti i figli di quel territorio” (Dei doveri dell’uomo, 1860).

Altri tempi. Tempi in cui si imbracciava un fucile per difendere con il proprio corpo l’idea di libertà, di indipendenza, di progresso culturale, senza chiedere nulla in cambio. Altri uomini, altre parole, ma soprattutto altro significato attribuito a concetti di importanza capitale (libertà, diritti, giustizia), di cui oggi molti uomini in vista fanno un uso scriteriato, con scopi alquanto ambigui.
“Noi fummo da secoli calpesti, derisi / Perché non siam popolo / Perché siam divisi”, sembra scritto ieri da un autore nostalgico, reduce magari da qualche bevuta di troppo; invece è una delle cinque strofe di cui si compone nientemeno che l’Inno nazionale italiano. Cinque strofe, di cui si canticchia la prima (chi la sa) solo nelle occasioni speciali. Parole profetiche, che pesano come macigni sulle coscienze di coloro che avevano il potere di decidere, ad esempio, di inserire l’Inno nella Costituzione, come vige in molti Paesi, ma che non l’hanno ancora fatto per ragioni di opportunità personale o partitica. O semplicemente perché, appunto, non siamo ancora un Popolo, né tantomeno una Nazione. Perché siam divisi.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Stato, Popolo o Nazione?

CesenaToday è in caricamento