Alla chiesa di San Zenone la mostra "Micelio - L'arte spasmodica di ammuffire"
La chiesa di San Zenone ospiterà dal 21 al 25 giugno la mostra "Micelio - L'arte spasmodica di ammuffire", dei due artisti Susanna Lelli e Mauro J. Manzo, a cura di Cristina Zama. Sarà possibile ammirarla ogni pomeriggio dalle 16:30 alle 20:30. Presenta la mostra Piero Masini: "Una location stupenda racchiude i lavori di due giovani artisti cesenati che fanno dell'arte una filosofia di vita. Nelle loro produzioni non si stenta a trovare aspetti unici della vita rapportati a precisi quadri mentali di riferimento che aprono la mente dello spettatore verso ampi orizzonti infiniti come le scatole cinesi. Non per niente “Micelio” è un progetto espositivo di Susanna e Mauro intorno al concetto di vita che si articola attraversando idee e temi quali la materia, la caducità, il ciclo vitale, il vizio. "Micelio" in questo caso è dunque utilizzato come sinonimo di muffa e come questa che genera una molteplicità di cose viventi è sinonimo di vita, seppure una vita sotterranea, a tratti dolorosa, e non sempre chiara nei suoi sviluppi. Due artisti che affrontano un argomento aspro, ma nello stesso tempo seducente, infatti cosa se non la muffa e' portatrice di bacilli di vita che poi si genera in tante forme che fanno sbalordire?. Ci potremmo dilungare nel descrivere le opere di Susanna Lelli dalle piu' complesse a quelle piu' attuali presenti nell'esposizione come “Penelope” dove ha utilizzato il fango della recente alluvione per comporre un'opera pittorica molto suggestiva, ma lasciamo al visitatore di scoprire e gustare il tutto come un buon cibo. Di rimando nelle opere grafiche di Mauro j. Manzo qui la muffa è protagonista assoluta e emblema di quello che potrebbe essere considerato a tutti gli effetti un "elogio del difetto" diventando essa stessa oggetto della ricerca e dell'esercizio estetico-formale che l' artista mette in atto. Lasciamo, quindi, ad un pubblico attento il compito di completare queste poche note, noi da parte nostra sottolineiamo che da qualche tempo si sentiva la mancanza di giovani autori di questo calibro. Crediamo che sentiremo parlare di loro anche dopo la chiusura di questa che ha tutta l'aria di essere la prima di tante altre esposizioni di Susanna e Mauro".
Dettaglia Cristina Zama: "Micelio è un progetto espositivo dei due artisti Susanna Lelli e Mauro J. Manzo intorno al concetto di vita che si articola attraversando idee e temi quali la materia, la caducità, il ciclo vitale, il vizio; ma anche la ricerca estetica, la trascendenza. Parlando della loro arte come spasmodica i due artisti puntualizzano fin dall’inizio come essa sia coinvolta in qualcosa di “doloroso” (spasmodica infatti si riferisce allo “spasmo”). Ci stanno anticipando che quest’arte passa da un dolore, il dolore che attraversa qualsiasi trasformazione (in questo caso l’ammuffire), qualsiasi metamorfosi, e che inevitabilmente intacca quel che c’era prima per quel che arriva dopo. Vi accorgerete, infatti, come la presenza costante nelle opere esposte, il cosiddetto fil rouge, è proprio la muffa. “Micelio” in questo caso è dunque utilizzato come sinonimo di muffa. La scelta di questo sinonimo, inoltre, è la ragione per la quale questo percorso espositivo non può essere letto con le lenti di un’età del Nichilismo: qui non si tratta di una muffa delle cose che periscono, o meglio, nei pochi casi in cui si tratta di perire è un perire simbolico, una degenerazione più che altro morale/psichica dell’essere umano data dall’adesione ad un sistema (come nel caso de l’“Uomo delle mosche” ) o ad un vizio (con riferimento a “Veleno”). Ma queste sono solo delle possibilità, mai un giudizio conclusivo. Il micelio infatti si trova in natura tra le specie dei funghi e delle muffe e consiste di una fittissima rete filamentosa che, creando una sorta di maglia neurovegetativa sotterranea, permette scambi tra gli essere vegetali viventi. Dunque micelio qui è sinonimo di vita, seppure una vita sotterranea, a tratti dolorosa, e metamorfica. Certe volte, come nel caso dell’installazione di Mauro J. Manzo, una vita che non è nemmeno costituita di materia ma che diventa il concetto di partenza per la propria originale ricerca spirituale. Il termine “micelio” permette dunque ai due artisti di partire con una parola nuova anziché costringerli nello sperticato tentativo di riabilitare il suo sinonimo - “muffa” - connotato negativamente. Altra premessa doverosa per una corretta lettura delle opere esposte è che qui la muffa è protagonista di una sorta di “umanesimo contemporaneo” che è percepibile in ogni lavoro, si tratti di arte pittorica, grafica o installazione. Qui il micelio, questa fitta trama di vita rappresentata dall’elemento pittorico/visivo muffa, viene liberamente utilizzata come metafora della ugualmente fitta, vasta e varia umanità, delle sue casistiche, delle sue ombre, delle sue degenerazioni. Nel caso dell’installazione, la diade vita-muffa diventa il punto di partenza per una riflessione sulla questione ontologica per definizione: quello tra essere e materia. Chiarite le premesse e le riflessioni alla base del progetto, accostandoci alle molteplici nature morte dipinte, dovremo innanzitutto ribaltare il significato della parola ‘natura morta’, e interpretarle piuttosto come ‘nature vive’, ospitanti quella muffa vitale che si moltiplica e trasforma. Questo genere di concetto si rispecchia perfettamente nell’opera “Fioritura esplosiva”, che, al contrario di ciò che potrebbe lasciar intuitivamente pensare, raffigura un rametto di pomodori ormai in piena marcitura. La tela raffigurante il vaso di fiori appassiti (“Schegge”) ci muoverà a tenerezza se sapremo leggerla come un ciclo, un processo, come quello che porta dalla turgida giovinezza fin verso alla vecchiaia, e infine alla morte. Fatto questo primo passo, cercheremo di guardare a queste opere con - nello sguardo - quel contemporaneo umanesimo di cui si parlava poc’anzi. Quando osserveremo le tre arance (“Contaminazione”), dove quella centrale sta subendo un processo di ammuffimento intaccando le due accanto ad essa, ci affiorerà alla mente quella condizione umana che ben riassume l’adagio: “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”. Nella tela raffigurante le tre mele (“La mela marcia”), in quella mela marcia vedremo quella dimensione umana a cui si recrimina negatività all’interno di un gruppo. Anche quando sarà la putrefazione della morte stessa ad essere rappresentata, come nel caso della tela “Il ciclo della vita”, il corpo in putrefazione della volpe morta verrà immediatamente collocata nel più ampio spettro del ciclo della vita in cui il morire non è altro che tornare alla terra, diventare nutrimento e quindi altro, in attesa di una nuova metamorfosi. Nella muffa, dunque, noi riusciamo a guardare al miracolo della vita dal buio, permettendoci di osservarla anche a partire dalle sue zone d’ombra, dalla sua sgradevolezza. Manifesto di questa idea è l’opera “Dentro le cose”. A differenza di tutte le altre tele questa non è sorretta da telaio, rendendola più simile a un poster o, appunto, a un manifesto. Raffigurata è la spazzatura, della quale però l’artista mette in risalto, per ogni elemento, il “centro”, come a volerci ricordare di come “ciò che conta” della vita sia anche qui presente, seppur intaccata dal processo di deperimento che avviene in superficie. Sempre legate alla stessa idea sono poi le uniche opere in cui, in via del tutto eccezionale, sono raffigurate figure umane. Qui le tematiche che emergono sono quelle del vizio, della dipendenza e dell’autodistruzione. L’artista, partendo da un’idea di natura incorruttibile, scomoda l’uomo soltanto per portarne all’attenzione la propria natura imperfetta, rappresentata anche in questo caso con la metafora della muffa e dell’ammuffimento. Per quanto riguarda le opere grafiche, qui la muffa è protagonista assoluta e bandiera di quello che potrebbe essere considerato a tutti gli effetti un “elogio del difetto”, diventando essa stessa oggetto della ricerca e dell’esercizio estetico-formale che l’artista mette in atto. Rifacendosi in parte al filone della Poesia Visiva e ispirato da lavori come quelli dell’argentina Mirtha Dermisache e dell’italiano Emilio Isgrò, Mauro J. Manzo unisce nei suoi lavori la tecnica del collage alla sperimentazione grafica dell’inchiostro colorato. Il risultato che ottiene è un interessante studio estetico delle forme, colori e texture che caratterizzano l’organismo muffa in base ai vari contesti in cui lo si può osservare. La sua produzione si costituisce così di un vasto e diversificato ventaglio di rappresentazioni estetiche della ‘muffa-vita’. Sempre dalle riflessioni di Mauro J. Manzo intorno al binomio muffa-vita scaturisce il trittico “Zoé (ζω? ) II”. In questa installazione la vita - il micelio - diventa occasione per riproporre uno dei problemi più antichi della storia della filosofia: quello ontologico. Nell’intraprendere questa ricerca l’artista ci suggerisce un termine in particolare, quello del titolo, “Zoé”. Rifacendosi alla tradizione occidentale e in particolare a quella della Grecia classica, egli adotta due diversi termini per riferirsi alla parola “vita”: Bios e Zoé. Mentre βιος (Bios) si riferisce alla vita concreta e caduca della materia, ζω? (Zoé) ci indica quella che è “l’essenza” della vita, l’origine della materia. Fatta questa distinzione, la riflessione assume così una traiettoria che tende verso una vera e propria ricerca spirituale, soprattutto se consideriamo che lo stesso termine, Zoé, lo ritroviamo anche nella versione in greco antico della Bibbia stessa, dove il termine va a distinguere proprio il principio divino dalla vita terrena (Bios). Nei tre spazi individuati dal trittico, quello che osserviamo è proprio il tentativo di mettere a rappresentazione la differenza che intercorre tra i due termini facendoli dialogare attraverso la narrazione visuale di una trasformazione da uno all’altro. L’installazione infine diventa riflessione aperta sull’essere e sulla vita che si avvia utilizzando il linguaggio della dottrina cristiana ma che approda alla possibilità di più soluzioni. Questa conclusione ce la suggerisce il titolo stesso dell’opera, “Zoé (ζω? ) II”, che mette in dubbio l’unicità di un principio unico e assoluto (Zoé I) ma si apre alla possibilità di un processo che abbia più le sembianze di una spirale che di un’emanazione diretta da un principio primo e originario. A conclusione di questo itinerario tra le opere delle mostra, rimane esclusa “Penelope”, la terza e ultima tela che rappresenta una figura umana (una ragazza/bambina) di cui Susanna Lelli è autrice. “Penelope” era infatti l’idea a cui era destinata l’ultimo pezzo della serie sulla muffa di Lelli, una figura femminile che avrebbe dovuto incarnare la metafora dell’attesa intesa come inerte immobilità, ricalcando il destino che la Penelope di Ulisse ha nella mitologia greca. Questa attesa, lunga e passiva anche in termini di durata, avrebbe dovuto generare un vero e proprio processo di ammuffimento, trasfigurandosi così a metafora di una certa condizione umana come succede per le altre opere della pittrice. Essendo l’arte prima di tutto un’attività dell’uomo - un “fare”-, e in quanto tale soggetta al contesto in cui essa viene prodotta, ecco che si spiega come Penelope, prima di poter essere completata, ha subito una metamorfosi. Come è successo ai nostri territori nelle giornate tra il 16 e il 17 maggio, anche Penelope è stata travolta dalle acque melmose e inarrestabili dell’alluvione che ci ha colpiti. Tuttavia, questo evento pervasivo e imprevedibile trasforma l’attesa inerte della protagonista del quadro che - dopo essere stata travolta da acqua e fango (materialmente miscelato con i colori e utilizzato nella realizzazione della tela)- , modifica la sua condizione. Da una passiva immobilità ella si trova caratterizzata da una fissità attiva, quasi eroica, che fa eco a quella fortezza d’animo esemplare tipica dello Stoicismo classico o dell’espressione, che senz’altro vi sarà capitato di sentire, che recita più o meno così: “Tin Bota”."