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Cronaca

Turismo gastronomico, Rossi (Cambiamo): "Diamo più valore alla ristorazione cesenate"

Così la pensa il candidato civico del centro-destra Andrea Rossi che, tra i punti del suo programma elettorale, ne ha inserito uno ad hoc per la valorizzazione della gastronomia locale

"In un comune di 100mila abitanti neanche una stella Michelin… è la riprova che, a Cesena, in questi anni, malgrado il prodigarsi di tanti volenterosi privati, la ristorazione è stata poco valorizzata". Così la pensa il candidato civico del centro-destra Andrea Rossi che, tra i punti del suo programma elettorale, ne ha inserito uno ad hoc per la valorizzazione della gastronomia locale. "Una risorsa completamente ignorata dall'ente pubblico - spiega Rossi - e che, invece, andrebbe sorretta e incoraggiata con azioni concrete perché ristorazione significa cultura, rispetto della nostra identità e, soprattutto, turismo. Un concetto che il Pd non riesce proprio a cogliere tanto che alle nostre riflessioni sul mondo della ristorazione, il loro candidato, in stato confusionale, ha opposto il progetto di una 'mensa dei poveri' che è un tema certamente importante, ma che non c'entra nulla con ciò che stiamo dicendo".

E la pensa così anche Sergio Ferrarini, Presidente del circolo cesenate cuochi Romagna, nonché vice-presidente nazionale dell'Associazione Cuochi Italiani, secondo cui “il momento difficile della ristorazione cesenate ha una matrice anche politica”. Secondo Ferrarini - che si occupa anche di formazione, ricerca e sviluppo dei prodotti per conto di una grande multinazionale della GDO - "a Cesena manca un ‘ambiente favorevole’ all'alta gastronomia”, tanto che – ricorda – “in questa città non esiste un'associazione di ristoratori e anche le categorie non hanno mai considerato il turismo gastronomico un tema prioritario”. Eppure oggi “la cucina fa moda e tendenza e, dunque, fa turismo”, ricorda Ferrarini, che poi cita il caso emblematico di San Sebastian, “una località spagnola con meno abitanti di Cesena ma con quasi trenta stelle Michelin. Ecco, lì la ristorazione ha fatto sistema, generando un filone turistico di successo e valido tutto l’anno”.

Ma per trovare esempi virtuosi, secondo Ferrarini, non bisogna andare troppo lontano. Basterebbe gettare lo sguardo oltre confine, alla vicina Cesenatico “dove – rileva – lo scenario è diametralmente opposto. In quel contesto si è difesa strenuamente un'identità culturale, promuovendo un filone gastronomico di alto livello. Lì, a differenza di Cesena, il comune ha lavorato al fianco dei ristoratori locali, creando un ambiente favorevole. Non a caso lì sono nate La Buca e il Magnolia di Alberto Faccani, per non parlare del Marè ormai in odore di Stella Michelin e dell’Hotel Da Vinci, un cinque stelle che, chissà perché, ha scelto Cesenatico”. Un modello che, secondo Ferrarini, è replicabile in qualsiasi altra città, a patto che via sia una sinergia progettuale tra pubblico e privato: “Tra la Muccigna, la Michiletta, Albizzi, il Castello di Diegaro e tanti altri, i buoni ristoranti in città non mancano di certo. Ciò che manca, ormai da troppo tempo, è invece la comunicazione e la promozione di una rete food d'eccellenza. Ecco perché, nell’immaginario collettivo, non c’è più un locale di riferimento, un nome rinomato anche fuori dai confini comunali. Del resto, se oggi apri la Guida dell'Espresso sono menzionati appena due locali di Cesena premiati con una mezza forchetta… beh, io credo che questa città abbia la storia e le potenzialità per esprimere molto di più”. 

Ma non è stato sempre così: il candidato civico Andrea Rossi ricorda, ad esempio, “gli anni gloriosi del ristorante Casali, l’inventore del ‘cestino da viaggio’ nonché pioniere del celebre carrello del bollito che poi, nel tempo, ci è stato scippato dalla cucina emiliana". Ma Rossi ricorda anche "il mitico Gianni, un ristorante conosciuto anche fuori Cesena, ritrovo di calciatori e di personaggi famosi". Il problema – secondo il candidato della lista Cambiamo - è che, in questi anni, “non siamo riusciti neppure a difendere i nostri prodotti tipici. Lo squacquerone era roba nostra, ma non lo abbiamo tutelato; gli stessi sardi - tanti anni fa - per produrre il loro rinomato pecorino venivano sulle colline romagnole perché qui trovavano le condizioni ambientali ideali. Insomma, qui c'erano eccellenze che noi non abbiamo saputo valorizzare. A tutti i livelli – prosegue - è mancata la volontà di difendere i 'piatti tipici della città'. Mentre si guardava all’Europa, ci siamo dimenticati di varare politiche lungimiranti per la salvaguardia della cucina nostrana. In questo senso, il comune non ha mai dato stimoli né idee, scoraggiando ogni tentativo di eccellenza. Faccio solo un esempio: in tutti i paesi dove c'è una consolidata tradizione culinaria, come Santarcangelo tanto per citare un modello a noi vicino, in orario di pranzo, ovvero dalle 12 alle 15, il parcheggio non si paga. A Cesena invece si paga e anche salato".

"Nel nostro programma-eventi - conclude Rossi - abbiamo inserito manifestazioni gastronomiche più identitarie che raccontino la nostra storia e salvaguardino le nostre origini. Perché, mi chiedo, non esiste almeno una rassegna che coinvolga i nostri cento ristoranti cesenati? E perché, durante le manifestazioni culinarie di Cesena o per San Giovanni, proprio i ristoranti della città preferiscono restare chiusi? E ancora, perché non promuovere una 'Settimana del buon cibo e del buon vino' con il coinvolgimento di tutti i produttori vitivinicoli delle colline romagnole? Io sono convinto che Cesena abbia grandi potenzialità, ma in questi anni non si è fatto nulla per valorizzarle. E gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: i ristoranti aprono e chiudono nell'arco di pochi anni. Si investe, si prova ma, alla fine, la realtà ti costringe ad abbassare la serranda. Tutto sotto gli occhi del Comune che pensa solo ad incassare le imposte e poi fa spallucce di fronte alle insegne che si spengono. La mensa dei poveri? La solita, stucchevole soluzione assistenzialistica della sinistra. Il problema è che, dopo dieci anni di governo Pd, purtroppo, una sola mensa dei poveri non basterà...".

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