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Cronaca Longiano

Il 'gigante buono' morto a 19 anni in comunità, mamma Giusi contro lo spettro dell'archiviazione: "Si poteva salvare"

In tanti ricorderanno la vicenda di Matteo Iozzi, il giovane morto a 19 anni il 13 luglio 2016 all'interno della comunità terapeutica “San Luigi” di Longiano. L'appello della mamma che chiede il rinvio a giudizio

Giusi Campioni non si arrende, è una mamma che continua a cercare una verità processuale diversa per la dolorosa morte del suo giovane figlio. In tanti ricorderanno la vicenda di Matteo Iozzi, il ragazzo morto a soli 19 anni il 13 luglio 2016 all'interno della comunità terapeutica “San Luigi” di Longiano, che fa parte delle strutture della comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini. Una morte archiviata dall'autopsia per infarto dovuto al caldo e all'obesità, ma Mamma Giusi non si arrende e continua a cercare un'altra strada. Il suo 'gigante buono' che pesava oltre 140 chili era entrato nella comunità per perdere peso e sentirsi indipendente, voleva superare i problemi di depressione ed iniziare una nuova vita. L'ultima iniziativa di mamma Giusi era stata l'esposizione di uno striscione con cui chiedeva "Giustizia e Verità", era giugno 2021.

Nel mezzo la Procura di Forlì aveva chiesto ed ottenuto altri 6 mesi per indagare sul caso della morte di Matteo. Ora la mamma con una lettera accorata vuole allontanare lo spettro di una seconda archiviazione. La missiva è diffusa dall'avvocato Carmelita Morreale del Foro di Palermo.

"Sono una mamma alla quale hanno fatto morire l’unico figlio della mia vita - le parole di Giusi -. Con questo non mi voglio vendicare, non voglio nessuno in galera, ma almeno il rinvio a giudizio. Sono passati quasi 6 anni da quando mio figlio Matteo non c’è più e potrebbe capitare a un altro Matteo. La lettera ripercorre la storia del 'gigante buono' che voleva mettersi alle spalle una prima fase della sua vita problematica: "Matteo Iozzi a soli 19 anni è morto dopo 34 giorni di permanenza come ospite nella comunitá, si poteva salvare! Matteo era partito il 9 di giugno del 2016 alla volta della Comunità per inserirsi all’interno di questa struttura, e superare i problemi di depressione che lo avevano afflitto, e recuperare una forma fisica adeguata per poter presto partire in missioni benefiche e diventare un Casco Bianco".

"Da almeno 2 anni insieme ai propri genitori, già componenti della Papa Giovanni XXIII, Matteo si era determinato a dare una svolta alla propria vita, gettandosi il passato alle spalle, desideroso di guarire dalla depressione che lo aveva per così tanto tempo turbato, causata dal fatto che tra i 5 e gli 11 anni di età, era stato vittima di atti di  bullismo. Matteo era partito con l'intenzione di non essere un peso ma una risorsa, per poi fare parte di Operazione Colomba (c.d. caschi bianchi), una branca della Papa Giovanni XXIII  (oggi i ragazzi che ne fanno parte sono impegnati in favore della  popolazione ucraina per servizi umanitari). Matteo voleva aiutare gli ultimi e, con i suoi genitori, progettava di aprire una casa famiglia. Stava seguendo le orme dei genitori, da sempre impegnati attivamente nelle missioni umanitarie e di volontariato"

"Quel 13 Luglio 2016 Matteo Iozzi, di soli 19 anni, è morto in Comunità - lo strazio della mamma - Matteo era seguito da specialisti, sia per delle cure di supporto di natura neuropsichiatrica (depressione) che correlate alla sindrome metabolica collegata all’ obesità severa, di cui soffriva, per tale motivo assumeva una terapia multi farmacologica, ma poteva salvarsi", secondo la mamma che sottolinea: "Ciò è quanto sostiene il consulente medico di parte, Franco Zuppichini".

Nella lettera viene riportato che al ragazzo "erano stati imposti i ritmi di lavoro di tutti coloro che erano ospiti della Comunità. Ma Matteo in quei giorni soffriva di una severa astenia, ma soprattutto gli sono mancati i sali minerali che piano, piano gli si esaurivano nel sangue scompensando le parti vitali".

Con una maggiore attenzione e cura Matteo si poteva salvare, questo è il pensiero ed il grande rammarico di mamma Giusi che si oppone con forza allo spettro di una seconda archiviazione del caso. "I genitori non vogliono assolutamente fare di tutta l'erba un fascio, anzi, riconoscono che nell’ambito della Comunità  Papa Giovanni XXIII ci sono famiglie stupende che spendono la loro vita per accudire le pietre scartate, come diceva il fondatore Don Oreste Benzi, che la famiglia Iozzi conobbe personalmente più di 25 anni fa. Quello che i Signori Iozzi vogliono è che non ci sia, mai più  un altro Matteo che viva quello stesso dramma", l'appello del legale.

Poi il rammarico: "Sono ben 5 anni che i genitori di Matteo - riporta l'avvocato Morreale - non ricevono neanche una telefonata di conforto per alleviare il loro dolore straziante, peggio di una condanna all’ergastolo. La madre di Matteo si è dichiarata pronta a perdonare chi ha sbagliato, ma desidera conoscere la verità sulla morte del figlio. Il 16 di febbraio del 2017 il caso di Matteo Iozzi fu archiviato e da quel giorno più nulla, anche da parte degli stessi operatori  della Comunità che sostenevano, di non abbandonare mai chi ha bisogno e di essere sempre disponibili anche con  una carezza, un abbraccio. La famiglia Iozzi si batterà per una rapida conclusione delle indagini nuovamente riaperte sul caso", e chiede "di avviare dinanzi l’autorità giudiziaria competente, un processo a carico di tutti i soggetti astrattamente responsabili, senza ulteriori indugi".

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