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San Silvestro e Capodanno in Romagna, tra antiche tradizioni e giochi

“Quando eravamo bambini si andava presso il vicinato come 'messaggeri' di buon augurio, andando a dare 'il buon anno'. Davanti alla porta del vicino, in dialetto si recitava la filastrocca beneaugurante", racconta Radames Garoia

San Silvestro e Capodanno rappresentano la fine dell'anno e l'inizio di quello nuovo e nella tradizione romagnola sono giornate cariche di significato, vissute tra i riti tradizionali, tra sacro e profano. Il racconto di queste credenze è affidato a Radames Garoia, cultore di tradizioni popolari e dialetto romagnolo e membro dall’Associazione “Istituto Friedrich Schurr”. 

“La sera di San Silvestro si trascorreva allegramente nell’ambito familiare ed il passatempo preferito era quello di fare le previsioni per l’anno che stava entrando. Ci si riuniva attorno al fuoco e si sgranava una spiga di grano conservata dalla mietitura: dodici chicchi, uno per ogni mese, venivano posizionati sulla rola (ripiano) del camino entro un cerchio di brace. In campagna, tale usanza si ripeteva ogni anno per prevedere l’andamento dell’annata agraria che stava per arrivare, l’arcolt (il raccolto); se un chicco saltava in avanti era segno positivo, se saltava indietro era segno di cattiva sorte, se restava fermo e si anneriva, le cose sarebbero andate normalmente, senza danno e senza vantaggio”, racconta Garoia.

Dalle previsioni per il nuovo anno ai giochi. “Vi era poi e’ zugh di quatar cantón (gioco dei quattro cantoni): negli angoli di una stanza si mettevano quattro sedie sotto le quali rispettivamente una vargheta,  una cêva, dla zendra, dl’acva, (una fede, una chiave, della cenere, dell’acqua): quattro persone giovani, che durante la preparazione del gioco erano state allontanate, a loro scelta si sedevano sulle sedie. Se sotto c’era la fede significava matrimonio in vista, la chiave simboleggiava l’arzdurarì (reggitoria, cioè la persona diventava azdora o azdor se era maschio), l’acqua indicava il pianto e la cenere presagiva un lutto in famiglia – continua Garoia -.Oppure e’ zugh di tri fasul (il gioco dei tre fagioli): un fagiolo intero, uno spellato e uno spellato a metà, venivano messi sotto il cuscino, ognuno dentro un bacello vuoto. Un bambino al mattino doveva prenderne uno solo e da questo si facevano pronostici: se era il fagiolo intero, l’annata sarebbe stata fortunata e con un bel raccolto, se era quello spellato, ci si doveva aspettare un anno di guai, se era quello mezzo svestito significava sia il bene che il male.  Anche le ragazze in età da muros (da fidanzato), facevano questo gioco: se la giovane 'beccava' il fagiolo vestito significava che avrebbe sposato un sgnor (un uomo ricco), il fagiolo mezzo spellato stava ad indicare un uomo né ricco, né povero, il fagiolo totalmente spellato significava che avrebbe sposato un povero. Anche e’ zugh dla s-ciafëla, o dla pianëla (il gioco della ciabatta) faceva pronostici su possibili viaggi durante l’anno entrante: dal pianerottolo in cima alle scale si gettava una ciabatta in direzione del portone di ingresso e se cadeva rivolta alla porta verso l’esterno, presagiva un viaggio (che poteva essere anche un viaggio in altra casa, cioè matrimonio)”, spiega.

Il giorno di Capodanno si facevano tutte quelle attività che si desiderava fare per tutto l’anno o, perlomeno, che si desiderava andassero bene per tutto il resto dell’anno. “L’anno si apriva positivamente se, il 1° gennaio, si incontrava, come prima persona, un uomo, ancor meglio se benestante. Incontrare un povero, un prete o una donna o, peggio, ospitarli in casa, era considerato di cattivo auspicio.  Ancora oggi, anche se la cosa si sta perdendo per ovvie ragioni, sono molti gli anziani convinti che le donne, il primo dell’anno, portino disgrazia. Ci sono anche donne (di una generazione del passato) che non escono di casa in questo giorno e non rispondono neppure al telefono per non “portare male””, ricorda Garoia.

“Quando eravamo bambini si andava presso il vicinato come 'messaggeri' di buon augurio, andando a dare 'il buon anno'. Davanti alla porta del vicino, in dialetto si recitava la filastrocca beneaugurante: 'bon dè, bon an, bona furtona par tot l’an, che Dio uv purta un bon guadagn int la stala, int e’ purzil e int la saca de’ curpet' ovvero 'buongiorno, buon anno, buona fortuna per tutto l’anno, che Dio vi porti un buon guadagno nella stalla, nel porcile (luoghi ove erano presenti gli animali domestici, bovini e suini, necessari per i lavori agricoli e per il sostentamento economico ed alimentare della famiglia) e nella tasca del gilet, (chiamato corpetto, dove solitamente il capofamiglia teneva il portafoglio)' . Si ripeteva fino a quando non si apriva la porta e, se necessario, anche cinque o sei volte, alzando la voce ad ogni replica. Poi, qualcuno ci apriva e ci regalava le caramelle o i biscotti fatti in casa, oppure un soldino da 5 o 10 lire. 
Se non ci aprivano o si riceveva nulla, malignamente si ripeteva l’augurio, modificandolo in: 'bon dè, bon an….ch’uv murés e sumar sota e’ capan!'0 (buon giorno, buon anno che vi morisse l’asino sotto il capanno!). Sacro e profano, da sempre si legano in questa incantevole terra di Romagna”, conclude.

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