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Università: aumentano gli iscritti, ma la media europea resta lontana

L’Italia è penultima in Europa per numero di giovani con un titolo di studio e la spesa per l’istruzione terziaria è la più bassa di tutta la Ue

Anche se le immatricolazioni delle università italiane sono tornate a crescere, la distanza che ci separa dai grandi Paesi europei è ancora tanta. Secondo il terzo rapporto Agi-Censis, infatti, all'Italia servirebbero circa 7mila immatricolati in più all'anno per essere in linea con la media europea. 

Insomma seppur il sistema universitario nazionale sia riuscito a contenere l’onda d’urto della pandemia, deve lavorare ancora a fondo su alcune criticità. 

Il rapporto Agi-Censis, elaborato nell’ambito del progetto "Italia sotto sforzo. Diario della transizione 2020", ha preso in esame l’anno accademico 2019-2020, in cui si è confermato l’incremento degli immatricolati alle università italiane: +3,2% rispetto all’annata precedente. Un trend positivo cominciato con l’anno accademico 2014-2015. Questo risultato però non basta a colmare il gap europeo. La percentuale di matricole delle università italiane ha rappresentato in fatti il 51,8% dei giovani italiani in età corrispondente, a fronte di una media Ue 28 del 58,7%. 

Per eguagliare la media europea entro il 2025 lo Stivale dovrebbe poter contare su un incremento medio annuo di immatricolati del 2,2%, pvvero circa 7.000 studenti in più. Tradotta in termini monetari, tale crescita è stimabile in un volume di spesa aggiuntiva, nel primo caso, di oltre 49 milioni di euro ogni anno e, nel secondo, di 59 milioni.

Partiamo però da una posizione di svantaggio: l’Italia è penultima in Europa per numero di giovani con un titolo di studio terziario. Nel 2019 gli italiani di età compresa tra i 25 e i 34 anni con un titolo di istruzione terziaria erano il 27,7% del totale, ovvero 13,1 punti percentuali in meno rispetto alla media Ue 28, pari a 40,8%. Il dato ci colloca nella penultima posizione: dopo l’Italia soltanto la Romania, con il 25,5%.

La bassa quota di giovani con un titolo terziario è conseguenza anche della ridotta disponibilità di corsi terziari di ciclo breve e professionalizzanti, universitari e non universitari, che all’estero è più diffusa che in Italia. Occorre dunque organizzare un sistema di offerta di istruzione terziaria più ampio e articolato. Il tasso di passaggio dalla scuola secondaria di secondo grado all’università nell’a.a. 2018-2019 è stato pari al 50,4% degli studenti che nello stesso anno hanno conseguito il diploma. La rimanente quota che non si è immatricolata all’università (49,6%) ha cercato in maggioranza un lavoro e in minima parte ha presumibilmente continuato con percorsi di studio post-secondari o terziari alternativi all’università.

L’educazione svolge una funzione determinante nell’incremento della mobilità sociale, ovvero la possibilità che un individuo ha di realizzare le proprie potenzialità, a prescindere dal suo background socio-economico. Il Global Social Mobility Index 2020 colloca l’Italia al 34° posto di una graduatoria internazionale calcolata su 82 Paesi, dopo Israele e prima dell’Urugay, ma lontana da Danimarca, Norvegia e Svezia, che occupano le prime tre posizioni. Da tempo nel nostro Paese l’istruzione universitaria ha ridotto la sua potenza di principale motore di mobilità sociale. Gli ultimi dati disponibili indicano che gli italiani di 30-44 anni laureati e con genitori non in possesso di un titolo di studio corrispondente sono solo il 13,9%, a fronte di una media Ocse del 32,3%. Servono, dunque, adeguati interventi di orientamento, investimenti e risorse per il diritto allo studio per garantire pari opportunità a tutti.

Nel 2018 in Italia è stato speso per l’istruzione terziaria lo 0,3% del Pil, meno che in tutti gli altri 27 Stati membri dell’Ue. Nell’anno accademico 2018-2019 solo l’11,7% degli iscritti è risultato beneficiario di una borsa di studio, quota che non si distribuisce territorialmente in modo uniforme (scende al 9,1% nel Nord-Ovest e nel Centro e sale al 13,4% nel Nord-Est e al 15,3% nel Sud). Ancora una volta emerge la distanza che separa l’Italia dagli altri Stati membri dell’Ue. La ridotta erogazione di borse di studio fa gravare l’investimento sull’istruzione universitaria sulle famiglie di origine degli studenti, i cui redditi, già erosi negli anni della crisi economica, sono ulteriormente compromessi dalla pandemia.

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