Il Coro Maria Callas porta al Bonci l' "Aida"
Per festeggiare i 170 anni del Teatro Bonci, il 25 aprile (ore 21) va in scena una delle opere più conosciute del melodramma Italiano, l’Aida di Verdi su libretto di Antonio Ghislanzoni. Commissionata dal viceré d'Egitto come inno per celebrare l'apertura del Canale di Suez (1868), inizialmente Verdi si rifiutò di comporla dicendo che non scriveva musica d'occasione, ma quando gli fu chiesta per l'inaugurazione del nuovo teatro de Il Cairo accettò.
L'opera, in quattro atti, andò in scena alla vigilia di Natale del 1871 e fu un autentico trionfo. Non facile da mettere in scena, Aida pone al direttore e al regista un dilemma: si vuole la realizzazione di un melodramma plateale con marce trionfali, cavalli, sfingi e obelischi di cartapesta (le edizioni areniane rispondono quasi sempre a questa lettura) oppure è meglio ascoltare il parere dei musicologi che invitano a cercare la sua bellezza nelle pagine più intimistiche e nella raffinata orchestrazione? Di certo è un’opera sorprendente, ma è anche intimista e il finale del secondo atto, quello della celebre marcia trionfale, serve a mettere in luce, per contrasto, le pagine più profonde, nascoste e spirituali.
Il regista Alberto Umbrella realizza un’Aida spettacolare, dove però gli elementi scenici non prevalgono sulla qualità canora e musicale degli artisti. Aida rimane un’opera profondamente intima, in cui si vive il dramma di una donna combattuta tra l’amore per la patria lontana e per l’eroe della nazione nemica. Umbrella, che ha curato anche le scene e i costumi, ha saputo cogliere molto bene i vari aspetti dell’opera e la presenta come contrapposizione di due forti civiltà che si rispecchiano nella enorme differenza tra due sovrani: il Faraone e Amonasro. Da una parte gli egizi, governati da una casta sacerdotale, ognuno con un ruolo preciso all’interno di una società divisa in ceti, con riti codificati dove la razionalità si è meccanizzata. Dall’altra gli etiopi: il popolo di Amonasro è un popolo guerriero, legato alla terra e alla natura, abituato a combattere per conquistare, che si affida al proprio istinto quasi animale e non ammette debolezze per amore.
Lo spettacolo è in beneficenza per il reparto di Terapia Intensiva neonatale dell'Ospedale Bufalini di Cesena un progetto iniziato nel 2003 dal Maestro Luciano Pavarotti.