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L'analisi di Confartigianato Cesena: "Economia del territorio indebolita dalla denatalità"

Un territorio, quello cesenate, che in linea con il trend italiano, europeo e dell'Occidente del mondo, vede l'incremento dei sessantacinquenni e un progressivo, inarrestabile invecchiamento della popolazione

"La demografia è un problema prima di tutto economico anche per il nostro territorio che ha registrato quest'anno a Cesena il record negativo delle nascite dagli anni Novanta a questa parte: appena 569 nel 2022". Lo rimarca Confartigianato cesenate. Un territorio, quello cesenate, che in linea con il trend italiano, europeo e dell'Occidente del mondo, vede l'incremento dei sessantacinquenni e un progressivo, inarrestabile invecchiamento della popolazione. 

"Un concetto, quello del saldo demografico - mette in luce il Gruppo di Presidenza Confartigianato Cesena - che interrogando non solo i demografi ma anche gli economisti. D’altra parte, se già il nostro sistema economico sconta alcuni gap di competitività rispetto ad altri europei ed extraeuropei, quello della demografia rischia di essere un ulteriore fattore di squilibrio negativo. Ma il problema è molto più profonde non riguarda solo il mondo delle imprese, ma è un problema che attiene alla tenuta strutturale del nostro Paese. Un’Italia sempre più vecchia, fragile. Se ne è occupato Alessandro Rosina, autore del ‘quaderno’ tematico della Fondazione Germozzi, istituto culturale che opera in seno a Confartigianato, dal titolo ‘La crisi demografica italiana: giovani e qualità del lavoro – Idee, spunti, dati e scenari per affrontare gli squilibri che rischiano di compromettere lo sviluppo economico e la sostenibilità sociale del Paese’, che fornisce una proiezione, a tratti, piuttosto allarmante del problema demografico in Italia”.

“In questi anni - prosegue il Gruppo di Presidenza  di Confartigianato Cesena - è innegabile che si sia assistito a una rimozione collettiva del problema e che le politiche messe in campo per fronteggiare la questione demografica si sono rivelate del tutto inefficaci. La bassa consapevolezza delle conseguenze della denatalità, marginalità delle politiche per i giovani e le donne, ha portato gli squilibri demografici a diventare sempre più gravi generando un senso di impotenza verso un destino ritenuto ineluttabile. Ci si è permessi di sottovalutare l'emergenza della denatalità anche perché il centro della vita attiva è stato, fino a qualche anno fa, presidiato da generazioni molto consistenti. In particolare i nati attorno a metà anni Sessanta (all’apice del baby boom) avevano 35 anni nel 2000, 45 nel 2010 e 55 nel 2020. Ma gli effetti della denatalità sull’economia e sulla sostenibilità del sistema di welfare cominciano a prodursi ora con l’entrata nelle età lavorative dei nati dalla seconda metà degli anni Ottanta in poi, quasi dimezzati rispetto alla generazione dei propri genitori. Non è più solo questione di conti pubblici, ma anche di squilibri che investono il mercato del lavoro e vengono avvertiti dalle imprese, anche del nostro territorio investito dal lungo inverno demografico”.

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