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Donne al lavoro: più precarie e con stipendi più bassi degli uomini

Nel 2011, in Emilia-Romagna era occupato il 76% degli uomini e il 60,7% delle donne (68,3% di media complessiva); rispetto al 2008 è avvenuto un calo di circa il 2% sia nella media che nella presenza femminile

Nel 2011, in Emilia-Romagna era occupato il 76% degli uomini e il 60,7% delle donne (68,3% di media complessiva, seconda posizione in Italia); rispetto al 2008 è avvenuto un calo di circa il 2% sia nella media che nella presenza femminile. Sono alcuni dei dati emersi nel corso della commissione regionale per la promozione di condizioni di parità tra donne e uomini, che ha coinvolto l’assessore alle Attività produttive, Giancarlo Muzzarelli.

Fra le tipologie contrattuali, le donne sono molto più “precarie” (17,1% di contratti non a tempo pieno e indeterminato, rispetto al 10,3% degli uomini); ciò fa ritenere che l’utilizzo del part-time da parte delle donne – massimo all’interno della fascia d’età 35-44 anni – non sia una scelta, ma derivi dall’impossibilità di conciliare un lavoro a tempo pieno con le responsabilità familiari. Quanto al reddito, nel settore del lavoro dipendente le donne guadagnano il 25% in meno degli uomini, mentre nel lavoro autonomo il gap reddituale sale a oltre il 30%.

La Regione ha assunto varie modalità di iniziativa per contrastare le discriminazioni e favorire al’accesso al lavoro delle donne. Per esempio, tramite contributi alle imprese disponibili ad assumere mono-genitori con figli a carico; oppure, dal 2008, per incentivare la stabilizzazione dei contratti a tempo determinato; inoltre, sta riprendendo un programma di rétravailler, per il reinserimento al lavoro di donne che da anni ne sono uscite per motivi familiari. È stata infine sottolineata la perdita di conoscenza sul fenomeno delle “dimissioni in bianco”, fatte firmare alle donne in vista di un’eventuale maternità, a seguito di provvedimenti di semplificazione burocratica, che andrebbero al più presto riconsiderati.

L’assessore Muzzarelli ha evidenziato i contenuti essenziali del Patto per la crescita intelligente - sottoscritto da Regione, Upi, Anci, rappresentanze delle imprese, sindacati, associazioni di categoria, Camere di commercio, Terzo settore – rivendicando di aver anticipato la discussione che si sta svolgendo a livello nazionale, come l’ha impostata il Governo, per costruire le condizioni di un nuovo modello di sviluppo fondato sulla coesione sociale (un esempio su tutti: la semplificazione delle forme contrattuali puntando sull’apprendistato). Perciò è tanto più auspicabile che il confronto in corso per riformare il mercato del lavoro si concluda con un accordo.

L’assessore ha poi aggiunto che la Regione intende stare nel solco delle migliori politiche europee, consapevole di dover affrontare un 2012 di recessione, con un 30% delle imprese attive in questo territorio che si troveranno di fronte a scelte cruciali, determinanti per la loro stessa sopravvivenza. Stando alle previsioni più accreditate, a fine 2012 la disoccupazione in regione potrebbe salire dall’attuale 5,2% al 5,6%. Lo sforzo della Giunta è costruire le condizioni per attirare capitali e scoraggiare le delocalizzazioni.

Nel patto fra lavoro e imprese - in un contesto segnato dal drastico cambiamento delle gerarchie mondiali e dal progressivo ridimensionamento del peso specifico dell’Europa – occorre sapere che servono più innovazione tecnologica, più valore delle risorse umane, più coerenza con la direzione di marcia segnata dalla green economy. Nel Patto si parla esplicitamente di sostegno alla ripresa economica come condizione per creare posti di lavoro di qualità e stabili, perché la continuità del lavoro è la base per realizzare progetti di vita e familiari.

Si sancisce, inoltre, che le politiche di conciliazione fra tempi di vita e di lavoro servono a favorire la crescente partecipazione delle donne al mercato del lavoro, nella consapevolezza che permangono evidenti scarti nella distribuzione dei carichi di cura fra donne e uomini, e che il welfare va profondamente rinnovato per garantire una nuova, autentica universalità dei servizi, la libertà di scelta e la parità di acceso alle opportunità professionali.
 

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