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Cronaca

Vicini, gloria cesenate: "Sacrifici? Li facevamo tutti, anche per il pane. La mia vita fortunata"

Figlio di contadini a San Vittore, sosteneva che "Ai miei tempi tutti facevano sacrifici. Abbiamo superato la guerra e ricostruito il Paese. Nulla era scontato"

In ricordo di Azeglio Vicini, deceduto due giorni fa a 84 anni. Figlio di contadini a San Vittore, sosteneva che "Ai miei tempi tutti facevano sacrifici. Abbiamo superato la guerra e ricostruito il Paese. Nulla era scontato, neppure il pane di ogni giorno”. La seguente intervista, concessa gentilmente dal suo autore, è stata rilasciata a Cristiano Riciputi quattro anni fa e pubblicata su un mensile nazionale. La proponiamo in ricordo del Ct e delle sue origini cesenati.

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“Notti magiche, inseguendo un gol…”. Tutti o quasi abbiamo nelle orecchie il ritornello di Edoardo Bennato e Gianna Nannini, colonna sonora dei mondiali di Italia ’90. Splendide serate di calcio caratterizzate da vittorie su vittorie degli Azzurri. A guidare quella nazionale, in cui giocavano Roberto Baggio, Franco Baresi, Paolo Maldini, Walter Zenga, Totò Schillaci solo per citare alcuni, era un distinto signore allora 57enne, un uomo d’altri tempi si direbbe, che faceva dell’esperienza e del carisma i suoi punti fermi. Azeglio Vicini, classe 1933 è un romagnolo nato a San Vittore di Cesena in tempi di povertà, giunto ai vertici, come giocatore,del calcio nazionale e, come allenatore, di quello mondiale. Oggi Vicini sconta il peso del tempo, ma la mente è lucidissima e i ricordi pure. Solo la voce è più flebile rispetto a quella delle Notti Magiche, ma la sua cordialità e disponibilità sono da Coppa del Mondo. Lo raggiungiamo al telefono (luglio 2014) nella sua casa di Cesenatico. 

Vicini, come ha iniziato a giocare a pallone?
"Credo come tutti i bambini nati negli anni ’30, in mezzo alla strada, con palloni di fortuna, oppure nel campetto della chiesa o in un prato lasciato libero dalle coltivazione dietro casa. Nulla di speciale, dunque, siamo distanti anni luce dalle società sportive di oggi che vanno a prendere a casa i bambini a sei anni".

I suoi genitori erano d’accordo? Che lavoro facevano?
"Erano contadini e non hanno mai ostacolato la mia passione. Poco prima della guerra ci trasferimmo da San Vittore di Cesena a Cesenatico e lì, da ragazzino, cominciai a giocare nella squadra del paese. Poi mi notò il conte Rognoni, presidente del Cesena e mi volle in squadra. In breve sono salito di categoria giocando nel LaneRossi Vicenza, poi Sampdoria e infine Brescia".

Una carriera da calciatore di alto livello.
"Mi sono tolto molte soddisfazioni, giocando quasi sempre in serie A. Ho smesso di giocare nel 1966, a 33 anni. Ho giocato sette stagioni di fila in serie A con la Sampdoria, poi in B con il Brescia abbiamo ottenuto una promozione". 

Per raggiungere questi livelli, ha fatto molti sacrifici?
"A quell’epoca tutti facevamo sacrifici. Abbiamo vissuto la guerra e l’abbiamo superata, poi è iniziata la ricostruzione. Tutti avevamo voglia di fare, di riscatto. Tutti facevamo sacrifici per ottenere qualcosa. Io mi ritengo fortunato ad aver fatto il calciatore e poi l’allenatore".

Era più facile ‘sfondare’ allora o oggi?
"E’ una domanda difficile. Oggi è più facile giocare a calcio, ci sono squadre in ogni paese e i genitori fanno di tutto per accompagnare i figli e li assecondano nei loro desideri. Negli anni ’30 non avevamo neppure le scarpe da metterci, figuriamoci quelle da pallone. I nostri genitori dovevano pensare al pane e a vestirci, i sogni dei ragazzi erano lontani anni luce. Però, a pensarci bene, allora eravamo pochi a poter continuare a giocare, la maggior parte dei ragazzi cominciava a lavorare ben prima dei 14 anni. Oggi c’è più ‘concorrenza’. Se uno aveva talento, forse all’epoca aveva qualche possibilità in più di farcela".

Poi come ha iniziato la carriera di allenatore?
"Non c’è stato un motivo particolare, se non una grande passione per il calcio. Nel 1975 sono entrato nel ‘giro’ della federazione e ho guidato per un decennio l’Under 21, raggiungendo la finale degli europei nel 1986, culminata con la sconfitta ai rigori contro la Spagna". 

I rigori sono una dannazione per le sue squadre.
"Non me ne parli". 

Qual è la partita che ricorda di più?
"Come allenatore direi quella d’esordio come ct della nazionale, l’8 ottobre 1986 a Bologna, Italia-Grecia 2-0, doppietta di Bergomi".

Solo questa?
"Anche tutte quelle di Italia ’90, naturalmente. Abbiamo sempre vinto, pareggiando la semifinale con l’Argentina, ma uscendone ai rigori. Una grossa delusione. E’ stata una nazionale che è entrata nel cuore dei tifosi, ma credo di tutti gli italiani, anche di quelli non particolarmente amanti del pallone. Giocavamo bene, ma è andata così. E’ lo sport".

Ha allenato anche il Cesena.

"Sì, una breve parentesi per aiutare la squadra in difficoltà nel 1993. Me lo chiese espressamente il presidente Edmeo Lugaresi e centrammo la salvezza senza troppi patemi d'animo".

Insieme a Marco Pantani, lei è uno dei romagnoli più famosi con alle spalle una carriera di livello mondiale. Ha dei rimpianti?
"No, nessuno, ho sempre fatto tutto seguendo la mia passione, quella per il calcio". 


Azeglio Vicini era nato a Cesena il 20 marzo del 1933. Dopo pochi anni la famiglia si trasferisce a Cesenatico. Da ragazzo viene notato dal Cesena calcio e poi da una squadra molto blasonata all’epoca, il Lanerossi Vicenza. Qui si mette in luce e contribuisce alla promozione in serie A, dove ha debuttato il 25 settembre 1955 nella partita Lanerossi Vicenza – Internazionale (0-2). Terminata la carriera calcistica (1966) inizia quella di allenatore. Entra subito in Federazione e guida prima l’Under 23 e poi, per 10 anni, l’Under 21, fino alla finale degli Europei persa ai rigori contro la Spagna. Nel 1986 diventa Ct della nazionale maggiore. Agli Europei del 1988 gli Azzurri arrivano in semifinale, dove sono sconfitti dall’Unione Sovietica. Nel 1990, ai Mondiali italiani, il sogno contro i rigori dell’Argentina. Nel 1991, dopo la mancata qualificazione agli Europei (è ancora una partita contro l’Unione Sovietica a decidere le sorti) viene sostituito da un altro romagnolo, Arrigo Sacchi, il quale perderà la finale dei Mondiali Usa ’94 ai rigori contro il Brasile.  Successivamente è stato allenatore, per brevi periodi, di Cesena e Udinese e poi presidente dell’Associazione nazionale allenatori calcio. Ha ricoperto per lungo tempo la carica di presidente del Settore tecnico della Figc.

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