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Cronaca

Un incontro va alle origini del cibo di strada: "Ecco perché tanto successo a Cesena fin dal 2000"

"La prima volta che ho partecipato al Festival del Cibo di strada alle 18 ho iniziato a vendere il panino col lampredotto e alle 21 avevo già finito tutto"

"La prima volta che ho partecipato al Festival del Cibo di strada alle 18 ho iniziato a vendere il panino col lampredotto e alle 21 avevo già finito tutto. Essendo in assoluto la prima edizione di street food nessuno immaginava come sarebbe potuta andare, ma la realtà superò di gran lunga ogni previsione positiva. L'intuizione geniale di mettere insieme una decina di professionisti del cibo di strada da tutte le parti d'Italia ebbe un successo inaspettato. Da lì è iniziato tutto". 

A parlare così è Leonardo Torrini, trippaio di Gavinana (Firenze) protagonista del Festival del Cibo di Strada di Cesena dalla prima edizione (era il 2000) pensata e organizzata da Giampiero Giordani di Confesercenti. Insieme a lui, domenica pomeriggio in occasione di un incontro alla libreria Ubik sul valore del cibo di strada, c'era anche Fabio Conticello dell'Antica Focacceria San Francesco di Palermo, specializzati in Pane ca' meusa, arancine, panelle, stigghiole, cazzilli, cannoli siciliani. Entrambi hanno vissuto in prima persona (ovviamente, contribuendo) il grande successo del Festival di Cesena, imitato e copiato da tutti anche in maniera dannosa. L'inflazione e la banalizzazione a cui, infatti, si è assistito negli ultimi dieci anni di iniziative che hanno come tema principale lo street food, sicuramente dà merito all'intuizione e alla lungimiranza del progetto cesenate ma, in molti casi, non premia il valore autentico della cucina di strada facendolo scadere in qualità e tradizione. 

"Perché ha avuto successo il Festival di Cesena? - si chiede Conticello - Sicuramente perché, in assoluto, è stato il primo, tutti gli altri sono venuti dopo. Ma anche perché qui gli organizzatori hanno fatto, e continuano a fare, una selezione attenta sui partecipanti e su come lavorano i partecipanti. Nulla è stato improvvisato, sono state messe delle regole sui prodotti che usiamo, su dove ci riforniamo, su come lavoriamo. Per noi che siamo abituati a operare in un certo modo, curando qualità e rispettando la tradizione, un Festival così può solo valorizzare e tutelare il nostro lavoro. Per chi arriva ed è nuovo, può aiutare a capire come fare a lavorare bene. Per i consumatori è garanzia di una produzione di ottima qualità".  Durante l'incontro si è parlato anche dei prodotti di punta cucinati da Conticello e di Torrini: pane ca' meusa (con la milza) e panino col lampredotto (una parte di stomaco del bovino), cibo povero, della tradizione popolare che, dell'animale, non poteva permettersi di buttare via nulla. Le frattaglie, che fanno storcere il naso a più di una persona, hanno un alto valore sociale: sono economiche, rispettose dell'ambiente, a livello nutrizionale sono meglio di molti altri piatti molto decantati (il grasso che c'è in 100 grammi di lampredotto è pari a 3,8 g quello che è in una fiorentina supera i 16 g). 

Cibo della condivisione, cibo che accomuna tutti non solo in quello che si sta assaggiando ma anche come lo si sta gustando. In piedi, appoggiati a un tavolino, magari condividendo uno spazio con qualcun altro. La forza dello street food è proprio questa: l'autenticità del prodotto ma anche della scenografia con cui si consuma. E finché ci saranno artigiani appassionati come il trippaio di Gavinana, Leonardo Torrini, e un professionista della milza come Fabio Conticello dell'Antica Focacceria San Francesco, possiamo ancora sperare di salvarci dall'omogeneità e banalizzazione di un certo tipo di cibo. Quindi viva le frattaglie e chi le sa ancora cucinare come si deve.  
 

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