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Cronaca

La vita di un ragazzino nell'Abbazia nel '900: "Si pregava e si studiava tanto. Una volta al mese venivano i genitori"

Sono solo ricordi tramandati oralmente, non c'è nulla di scritto che documenti la vita che si svolgeva al Monte nel secolo scorso. Una vita fatta di quotidianità, tante preghiere ma anche momenti di festa e, soprattutto, convivialità

Sono solo ricordi tramandati oralmente, non c'è nulla di scritto che documenti la vita che si svolgeva al Monte nel secolo scorso. Una vita fatta di quotidianità, tante preghiere ma anche momenti di festa e, soprattutto, convivialità. A raccontare come si svolgevano le festività e la vita quotidiana all'Abbazia benedettina in un appuntamento organizzato dagli Amici del Monte per sabato 3 settembre alle 17 (riservato ai soci) è il professore Claudio Riva (nella foto), direttore dell'archivio storico della Diocesi, che introdotto da Raffaella Candoli, spiegherà ai presenti le abitudini dei monaci e di chi viveva insieme a loro. Riva, oltre a essere un narratore illustre è anche un testimone diretto perché ha trascorso 5 anni della sua vita insieme ai monaci dell'Abbazia, dal 1957 (quando era in quinta elementare) al 1962 (terminata la quarta ginnasio).

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Quanti eravate in Abbazia?
Una decina circa, di età diversa. Siamo partiti che avevamo tutti la stessa età, ovvero dovevamo fare la quinta elementare ma poi ne sono entrati altri. Era una specie di seminario, non diocesano ma monastico. Praticamente venivano ospitati ragazzini che mostravano un'attitudine alla vita monastica.

Che differenza c'è tra il seminario diocesano e quello monastico?
Quello monastico ha un maggior senso della preghiera comunitaria e la stessa vita comunitaria è maggiore. Si prega di più, almeno 4 ore di preghiera al giorno. Tutta l'attività era ispirata alla regola benedettina 

Quali erano i monaci a quel tempo?
A quel tempo c'erano più di 12 monaci e quindi c'era l'abate che era don Alberto Clerici. Poi nel 1968 si è ritirato.

Ha dei bei ricordi?
Sì sono stato molto bene. Facevamo la vita dei ragazzini ma ovviamente si insisteva molto sullo studio. Si facevano matematica, italiano, latino. Bisognava impegnarsi molto.

Ma chi erano gli insegnanti?
I monaci stessi. Don Odo Contestabile (che durante la guerra mise in salvo due famiglie di ebrei) insegnava italiano, latino e francese. Don Bonifacio Borghini matematica. Poi per le medie chiamarono un professore di matematica esterno, un laico. Don Guido Chini insegnava geografia e don Pietro Calvo ci insegnava disegno. Dopo la seconda media siamo andati a scuola in seminario. 

Come trascorreva le giornate?
Si mangiava tutti insieme e per andare a pranzo metteva la veste. Ognuno aveva la sua. E infatti il vescovo  Augusto Gianfranceschi diceva scherzosamente che noi ragazzi eravamo monaci solo a refettorio. Ricordo che facevamo l'astinenza dalla carne tre giorni alla settimana, mercoledì, venerdì e sabato. Mangiavamo pesce, formaggio, uova, tonno, legumi, verdure. Le verdure erano tutte dell'orto dell'Abbazia. Anche la carne di pollo era allevata al Monte. La tivù non c'era, la presero dopo. Facevamo i tempi di ricreazione, dopo pranzo, a metà pomeriggio, e la sera. I monaci chiacchieravano, noi facevamo un giro fuori dal monastero, sala giochi con biliardino, ping pong, e nel chiostro giravamo coi pattini a rotelle. Sempre fuori dal monastero c'era un campo da bocce. Ricordo che giocavamo anche a calcio sempre nel chiostro. Da bambini bastava una palla. Durante i pomeriggi capitava di andare a Case Finali. Ci andavamo a piedi, passando attraverso dei viottoli che ora non ritrovo più. Sbucavamo sulla via di Rio Marano e ci mettevamo un baleno.

E durante le feste?
Durante le feste eravamo tutti arruolati a servire le varie messe, facevamo la distribuzione delle candele e iscrivevamo quelli che volevano lasciare un'offerta per la Madonna del Monte. I primi sabati di ogni mese, infatti, si pregava per gli iscritti alla Compagnia della Madonna del Monte. Durante le feste, tra l'altro, c'era una grande affluenza di monaci da altre zone. Erano gli ospiti. In quelle giornate c'erano pranzi ricchi, antipasto, due primi e due secondi. Non c'era da sciupare ma si mangiava bene e abbondante. C'era l'uso di prendere giù dalla fiamminga ognuno quanto pensava potesse mangiare, così non si buttava via nulla.

Dall'esterno arrivavano persone a trovarvi?
Sì una volta al mese i genitori venivano a trovare i figli. Stare lontano dalla famiglia era una forma di regola, non dolorosa, ma un avvio a una comunità. Con i genitori ci si scriveva. Anzi erano proprio i monaci a invitarci a rispondere alle lettere.

Insomma, un bel periodo?
Sì, devo dire la verità, lo ricordo come un bel periodo, sia per la preparazione spirituale di credente che  per la mia preparazione culturale. Il mio interesse per lo studio della paleografia e l'interesse per la ricerca storica sono nati lì. Tra l'altro, una volta uscito, ho sempre continuato i rapporti con loro. Andavo spesso a salutarli e ho contribuito a rimettere a posto l'Archivio del Monte che, rrequisito  dai rivoluzionari francesi, si conserva presso l'Archivio di Stato di Cesena. 

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