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Cronaca

Profughi che escono dall’accoglienza, "Gli enti locali non possono essere lasciati soli"

Il segnale arriva dal presidente dell’Unione dei Comuni della Valle del Savio Paolo Lucchi e dal vicepresidente Marco Baccini, che rivolgono un appello all’Anci attraverso una lettera inviata al suo Presidente nazionale Antonio Decaro e al presidente Anci Emilia-Romagna Daniele Manca

Per affrontare l'emergenza profughi "non basta pensare alla gestione degli sbarchi (come sta facendo in questi giorni il Governo) e poi alla prima accoglienza per chi attende il riconoscimento dello status di rifugiato. Occorre definire al più presto cosa fare nei confronti di quelli che non rientrano in questa categoria e, al tempo stesso, bisogna cominciare a delineare percorsi di accompagnamento per chi, dopo aver ottenuto il riconoscimento di protezione internazionale, esce dalle strutture di prima accoglienza. E gli enti locali non possono essere lasciati soli davanti a questi problemi". Il segnale arriva dal presidente dell’Unione dei Comuni della Valle del Savio Paolo Lucchi e dal vicepresidente Marco Baccini, che rivolgono un appello all’Anci attraverso una lettera inviata al suo Presidente nazionale Antonio Decaro e al presidente Anci Emilia-Romagna Daniele Manca.

Nella loro missiva, Lucchi e Baccini sottolineano la necessità "di affrontare urgentemente il tema a livello nazionale, per verificare in primo luogo la possibilità di ampliare le risorse da destinarsi ai Comuni per affrontare la situazione". E chiedono all’Anci "di intraprendere un confronto specifico con il Governo centrale". Ma nel frattempo, proprio perché la situazione sta evolvendo rapidamente, a livello locale si stanno già facendo le prime mosse. Per fare il punto sul problema e capirne meglio l'impatto sul territorio locale, l'assessore Simona Benedetti ha convocato per il 18 luglio il "Tavolo povertà" del Comune di Cesena, cui partecipano Caritas, San Vincenzo, Asp Cesena Vale Savio, Centro di aiuto alla vita, Croce Rossa, Grazie e pace e Banco di solidarietà.

Scrivono nella lettera Lucchi e Baccini: "Le difficoltà – istituzionali, sociali, culturali – relative all’accoglienza dei profughi sui nostri territori sono tante e complesse. Attengono, innanzitutto, alla necessità impellente di individuare nuove strutture di accoglienza per fare fronte ad una emergenza umanitaria di portata epocale, come ben riportano le cronache nazionali ed internazionali anche in questi giorni. L’arrivo del caldo intenso, infatti, ha riproiettato Prefetture ed enti locali, immediatamente, nella medesima situazione di preoccupazione organizzativa nella quale noi tutti viviamo da ormai più di cinque anni, soprattutto durante la stagione estiva. E’ purtroppo evidente, infatti, come le previsioni di inizio anno, che ipotizzavano un aumento fino a 250.000 dei 180.000 sbarchi del 2016, si stiamo, giorno dopo giorno, confermando. Qualche giorno fa la nostra Unione dei Comuni ha emesso il nuovo avviso pubblico per l’individuazione di ulteriori 80 posti di accoglienza, che si sommeranno alle 250 presenze attuali, distribuite sui territori di cinque comuni: Cesena, Mercato Saraceno, Sarsina, Bagno di Romagna e Verghereto. Il nuovo bando corrisponde all’impegno assunto dall’Unione medesima con la Prefettura di Forlì-Cesena, attraverso la sottoscrizione dell’ultima convenzione per l’accoglienza, la scorsa primavera".

"A tal proposito ci preme ribadire, tuttavia, che a tutt’oggi la necessità di ampliare il numero dei profughi accolti nelle nostre città non ci trova impreparati: nel corso degli ultimi anni abbiamo messo a punto un modello di accoglienza solido, verificabile e, noi crediamo, di qualità e sicurezza per le nostre comunità e per chi arriva qui - chiosano -. Un modello che prevede un sistema di regole certe a cui tutti i gestori devono attenersi, che controlliamo periodicamente attraverso una commissione preposta e che attiene sia alla corresponsione dei servizi di prima necessità (come cibo e vestiario), sia allo svolgimento di attività volte all’integrazione sociale e alla mediazione culturale (corsi di italiano e lavori socialmente utili). Il fine, in questo caso, è anche quello di assicurarci che le risorse pubbliche destinate dal Ministero dell’Interno all’accoglienza siano impiegate senza speculazioni di sorta da parte di chi gestisce le strutture. Ci chiediamo, tuttavia, se esista rispetto a questa situazione una prospettiva più o meno programmabile e di quale entità".

"Ricordiamo bene come il dibattito della scorsa estate fra l’Anci e il Governo sia stato centrato sulla “distribuzione” diffusa ed equilibrata delle persone richiedenti protezione in ognuno dei comuni italiani e sull’idea – di cui riconfermiamo la buona ratio – di una percentuale massima di accolti sul numero complessivo della popolazione - continuano Lucchi e Baccini -. Sappiamo che, a causa della complessità emergenziale della situazione, questo resta un problema focale ed ancora da centrare completamente. Un problema, però, che si sta sommando ad altre circostanze che riteniamo di eguale importanza. Parliamo, in particolare, di quella che sui nostri territori viene già definita dal sistema pubblico e privato dei servizi per le persone la cosiddetta “accoglienza di secondo livello”, che riguarda coloro che escono dalle strutture. A tale proposito giudichiamo urgente, innanzitutto, sollecitare il Governo ad assumere provvedimenti conseguenziali nei confronti delle persone che, a seguito dello sbarco e della accoglienza transitoria nei Cas, non si vedono riconosciuto lo status di protezione internazionale. Interroghiamoci in fretta su quale debba essere la conseguenza di tale decisione, che certamente non può essere quella di “abbandonare” queste persone al proprio destino, senza prospettive, senza soldi, senza nulla, sui nostri territori".

"Che ciò accada è ingiusto, non dignitoso e incomprensibile alla maggior parte dei cittadini. Si tratta di una prospettiva la cui soluzione non può essere lasciata in capo ai Comuni o alle forze dell’ordine, che, come ben sappiamo, non possono contare sull’applicazione di strumenti normativi o regolamentari atti a risolvere strutturalmente questo problema - osservano -. Una volta giudicata irricevibile la loro istanza di protezione, infatti, vale la pena di attivarsi per riportarli ai loro paesi. Oppure interrogarsi sul valore e sulle conseguenze di quel diniego, che lascia le persone in uno stato di sostanziale illegalità. A questo tema si aggiunge, poi - anche a causa delle chiusure all’accoglienza rinnovate quasi ogni giorno dalle altre nazioni europee - il problema di come accompagnare localmente le persone che, invece, ottenuto il riconoscimento di protezione internazionale, escono ugualmente dalle strutture e hanno sempre meno possibilità di trasferirsi altrove".

"Anche in questo caso, infatti, sarebbe urgente verificare la possibilità da parte del Governo di ampliare le risorse da destinarsi ai Comuni per farsi carico di una situazione che adesso non è gestita e gestibile - concludono -. Non essendoci alternativa possibile e realistica a quella di continuare ad accogliere, infatti, è oggi essenziale che ai Comuni vengano dati strumenti ulteriori con i quali diffondere al meglio, localmente, le ragioni proprie dell’accoglienza, evitando l’alimentarsi di tensioni sociali. Per tale ragione, quindi, auspichiamo davvero che ANCI possa costruire con il Governo, su questi temi, un dialogo sempre più costruttivo e continuativo".

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