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Cronaca

Sambri: "Qui non c'è traccia della variante indiana. Riaperture? Non si poteva più aspettare"

Parla il  direttore dell'Unità Operativa Microbiologia del Laboratorio Unico di Pievesestina dell'Ausl Romagna: "Fare marcia indietro se dovessero rialzarsi i contagi"

"Prima di tutto qui da noi non c'è traccia della variante indiana - rassicura subito il dottor Vittorio Sambri, direttore dell'Unità Operativa Microbiologia del Laboratorio Unico di Pievesestina dell'Ausl Romagna - Stiamo finendo il quarto round di sorveglianza nazionale. Per ora abbiamo raccolto circa 150 campioni (ne mancano 25) e posso garantire che tra questi non c'era nessuna variante indiana. Abbiamo trovato la variante inglese e un paio di brasiliane, ma l'indiana no. Sostanzialmente abbiamo trovato quello che ci aspettavamo".

Ma dottor Sambi cos'è la variante indiana?

Da quello che si sa, per ora, è una variante della variante inglese. Per intenderci i caratteri genomici sono quelli dell'inglese sul quale si sono immesse un altro paio di variazioni. Ma è tutto nella norma, quello di cui stiamo parlando accade solitamente a qualsiasi virus e non è detto che le caratteristiche che mutano rendano il virus peggiore, più letale o più contagioso.

Quindi aspettiamo a fasciarci la testa?

Assolutamente sì. Anche perché, se si ricorda, qualche settimana fa, venne fuori anche la variante giapponese. Se n'è parlato per un po' e poi più nulla. Ripeto il concetto di base: non c'è scritto da nessuna parte che le varianti rendano il virus più cattivo della prima forma. Sono trasformazioni e il più delle volte non sappiamo perché avvengano. Tra l'altro i numeri dell'India non sono molto attendibili anche perché con 350 mila casi al giorno, pur essendo scienziati bravissimi, hanno molta difficoltà a essere precisi. Quindi numeri e informazioni vanno prese con le molle.

Cosa ne pensa dottor Sambri delle aperture decise dal governo?

Il presidente del Consiglio, parlando di rischio calcolato, ha spiegato molto bene che tipo di scelta abbia voluto prendere il governo. Non si è fermato all'analisi medico-scientifica dei contagi ma, dopo aver preso in esame ogni aspetto, sia quello medico che quello economico, ha deciso che, correndo qualche rischio, fosse arrivata l'ora di riaprire. Non si poteva più aspettare. E va bene così. Quello che spero è che lo stesso buonsenso utilizzato in questa occasione venga adottato anche  nel caso dovessero rialzarsi i contagi e che, con numeri alla mano, non ci si vergogni a fare marcia indietro. Perché se è brutto non lavorare per dei mesi, com'è accaduto a qualche categoria più sfortunata di altre, mi lasci dire che è altrettanto terribile finire in terapia intensiva. 

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