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Cronaca

Il giornalista e il Covid alle spalle: "12 giorni in Terapia intensiva e 10 chili in meno, ma ho sconfitto il verme viscido"

La toccante testimonianza del giornalista Piero Pasini che racconta la battaglia combattuta su un letto d'ospedale tra "notti che non finiscono mai" e la "tortura medievale" del casco ventilatorio

72 anni, molti dei quali passati a raccontare i fatti della nostra città su diverse testate, tra cui anche CesenaToday. Il giornalista Piero Pasini racconta la sua battaglia contro il Covid, combattuta su un letto dell'ospedale Bufalini. Un cronista storico di Cesena, sempre pronto per un consiglio, ma anche per un sorriso. Per fortuna oggi può raccontare come ha sconfitto quello che definisce "un verme viscido". Una testimonianza forte e toccante, uno spaccato di venti giorni di virus, di cui 12 passati a lottare in Terapia intensiva, tra paure, "notti che non finiscono mai" e la "tortura medievale" del casco ventilatorio.

"Ce la farò a tornare come prima? Non lo so, ma al Covid posso fare il “gesto dell'ombrello”

“Leoni” con maschera, tuta protettiva, volonta' incrollabile e grande calore umano hanno combattuto per me una lotta senza quartiere contro il Covid 19 e mi hanno rimandato a casa con dieci chili in meno, ma la certezza che il verme viscido che si era inserito nei miei polmoni era sconfitto. Ho passato venti giorni (dal 17 marzo al 5 aprile) al centro Covid dell'ospedale Bufalini di Cesena, di cui una dozzina in terapia intensiva, bloccato in un letto sempre troppo corto o troppo lungo con le braccia straziate da aghi per alimentare le varie flebo o i periodici e numerosi prelevamenti di sangue. Alla faccia dei negazionisti, il Covid c'è! Provatevi voi, inebetiti e stremati ad essere a trenta centimetri dal pavimento stesi ed impotenti in strette stanzette di tre letti, con la mente che vaneggia mentre i sanitari vanno avanti e indietro cercando di assolvere il loro compito con una gentilezza e un riguardo che hanno effetto, forse, piu' che i farmaci. Tutti giovani e di ogni parte d'Italia medici, infermieri, operatori sanitari ti danno del tu, ti chiamano per nome e fingono di arrabbiarsi se sei triste. Ma sono le notti quelle che non finiscono mai, il tempo non ha dimensione interrotto solo dall' operatore chiamato nella stanza del cicalino di qualche paziente. Personalmente ho dormito pochissimo, le ore notturne non erano dedicate al sonno se non per pochi istanti. Un dormiveglia torbido, pesante e senza sogni quasi un cedimento dell'organismo ad eventi piu' grandi di lui da cui si riprendeva velocemente per incunearsi in un tempo senza dimensioni e punti di riferimento.

E poi l'incubo del “casco” uno strumento tra i più validi, per i medici, nella lotta al Covid 19. Si tratta di un vero casco trasparente dove e' inserita la testa del paziente e all'interno viene “sparata” aria con un certo grado di atmosfere caldo e sete lo stato di essere non certo mitigata dalle due gocce aspirate da un tubicino. Personalmente ho vissuto questa esperienza, non so quantificare le ore vissute nel casco ma sono state tante, come una tortura medievale; la prima volta mi sono ribellato e ho chiesto, urlando e pregando, di firmare per andare via oppure di farmi morire. E' stato grazie alla parole dei medici e dei vari operatori che ho superato il mio momento di pazzia, gliene sono grato perche' hanno interpretato veramente il concetto di cura. E poi il passaggio in una stanza singola, isolamento perfetto: un letto, una poltroncina e un televisore. I sanitari bussavano prima di entrare per  prelievi, farmaci, controlli, cibo il tutto però condito dal sorriso mentre tu, faticosamente, riprendevi le tue funzioni personali come il lavarsi e andare in bagno. Faticosissimo e per nulla scontato dopo una dozzina di giorni allettato e dieci chili in meno. Le notti, poco dormire ancora, ma ti permettevano di sentire i carrelli degli infermieri con la consueta ruota che gira “sgafi” e suoni che si allargavano a fisarmonica fuori dall'ospedale: chissa' voci umane o versi di animali che il coprifuoco permette di avvicinarsi?. Infine, alla fine del calvario, il giovane medico che ti dice: ”Pasini, lei può andare a casa. Per noi e' guarito” e quindi il viaggio con l'ambulanza verso casa, gli affetti e le persone che ami che da tanti giorni non hai visto. Ed ora sono qui, molto debilitato nel fisico, ma con la certezza che lo sforzo di tanti ha annientato il verme viscido dentro di me. Ce la farò a tornare come prima? Non lo so, ho tanti dubbi, ma al Covid posso fare il “gesto dell'ombrello”.

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