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Cronaca Sarsina

Don Daniele Bosi racconta il borgo di Calbano: "Un luogo dove il tempo si è fermato"

"Un agglomerato di casupole tutte addossate all’antico Castello, le cui origini arrivano all’età romana e addirittura all’età degli umbri"

Domenica 23 gennaio alle 15 è in programma la Messa per celebrare la festa di Sant'Antonio, e per "rivivere tempi lontani, grazie al calore ospitale e l’accoglienza genuina". Può essere una cosa “tanto vicina” ma “tanto lontana?”. Calbano può esserlo. Lo è. Talmente vicino a Sarsina che un tempo era l’acropoli della città. E' don Daniele Bosi a raccontare la storia del borgo: "Come un mondo che si è fermato, che vive ancora in una dimensione sua. Un altro mondo, uno spaccato di usi, mentalità, abitudini così diversi dalla vicinissima cittadina. Una caratteristica questa, insolita, e incredibile: tutt’altra cosa rispetto al paese. Un agglomerato di casupole tutte addossate all’antico Castello, le cui origini arrivano all’età romana e addirittura all’età degli umbri: mattoni romani sono ovunque: inglobati nelle mura di cinta, nelle case, in pavimenti di alcune abitazioni e cantine. La cinta fortificata che racchiude il borgo sembra abbia difeso anche uno spirito, uno stile di vita, una genuinità un pochino selvatica che ha origini antichissime che si perdono nella notte dei tempi".

Racconta don Daniele: "Sorrido quando mi viene in mente un fatto: quando mi balza alla mente questo racconto: come negli anni ’70, quando la furia post-conciliare devastava in lungo e in largo i tesori delle nostre comunità, mobili e quadri di Calbano erano già stati asportati, pronti per la vendita. Di come diversi capi famiglia andarono “giù” a Sarsina (come se fosse lontano anni luce ma in realtà distante poche centinaia di metri in linea d’aria) pretendendo con veemenza (promettendo senza complimenti di tornare con “e sciop”!) che le cose tornassero al loro posto. E, subito, ogni cosa fu per fortuna rimessa al loro posto. Diversamente nello stesso periodo al Suffragio successe la stessa cosa ma purtroppo nessuno se ne accorse e sparirono diverse cose tra cui un armadio grande del ‘700 che era in sacrestia). Un luogo dalla forte personalità. In questo luogo tutto parla: le antichissime pietre, specialmente quelle smussate dalle intemperie; le porte basse delle case; il panorama; il borgo con un suo ordine. Chi lo guarda da Sarsina, il castello di Calbano appare come uno dei tanti disordinati grovigli di casupole che coronano i colli italiani. Salendo e guardando dalla parte di Montalto si notano i mattoni romani, che prevalgono con il loro vivo, caldo colore, sul vivo dei grandi ciottoli e dei frammenti di arenaria che fanno uno speciale contrasto con il colore dei campi, acquisendo una severa bellezza. Ed entrando nell’abitato, ci si accorge della chiara struttura del castello. Le case sono disposte a forma di ellisse".

"Calbano vanta radici molto antiche - svela il parroco - iniziando la storia con gli Umbri e i Romani, delle cui costruzioni rimangono resti e pietre. Nel X secolo vede l’erezione del Castello, che nel 1220 andrà in possesso della chiesa sarsinate, è il Vescovo di Sarsina di nome Grazia (Vescovo dal 1266 al 1271) vi tenne i “comizi generali” per deliberare attorno ai diritti di investitura; nel 1371 il Castello era formato dalla rocca e da 12 focolari (un bel numero di persone). Lo storiografo di Sarsina Antonini nella sua raccolta di cose antiche, rimasta inedita, fa conoscere che nel 1254 esisteva un codice Statutario di Sarsina e di Calbano, contente le leggi di ordine pubblico. In detti statuti si trovava l’elenco dei 111 castelli della Contea Sarsinate. Nel 1370 i canonici di Sarsina, il 4 maggio, procedevano a varie nomine tra le quali si annovera quella del rev.do Don Baldo arcidiacono, vicario del Castello di Calbano. Nel 1372 i canonici della Cattedrale con gli Arcipreti di Sarsina, San Damiano, Romagnano, Montesorbo, Ranchio, Monteriolo, Rivoschio, San Martino, San Romano, Balze (le 9 pievi della diocesi) si raccolgono per discutere il quantitativo da pagare, per le collette, ordinate dal Vescovo. Nel 1733 il Vescovo di Sarsina, venendo da Ciola per entrare nella sua diocesi e prendere possesso, sostò a Calbano accolto dal governatore Zambini, l’ultimo che vi risiedette. Immagino che ebbe vita lunga e complessa questo borgo abitato dal governatore, utilizzato forse per motivi di difesa. Calbano ha certamente avuto la funzione di rifugio dei Vescovi sarsinati, così come l’ha avuta la rocca di Ciola".

"Al Calbano non sono stati mai fatti che io sappia, scavi archeologici sistematici. Fino a pochi anni fa c’erano ancora lastricati antichi, si all’aperto sia all’interno delle case. In alcune cantine vi sono ancora; sono pittoresche queste piccole abitazioni, con questi muri spessissimi. Nel restauro delle torri avvenuto nel 1959, attesta Nino Finamore, sono stati rinvenuti più in dentro della torre medioevale, alcuni grossi blocchi di arenaria che sono la testimonianza di una costruzione più antica. Viene spontaneo pensare che tali mura potrebbero essere parte della cittadina di Sarsina, che nei periodi di massimo splendore poteva salire tutto il colle di Calbano. L’unica possibilità di espandersi era salire, visto che Sarsina da ogni parte è circondata da dirupi. Resta questa una sua supposizione, auspicando venissero fatti in seguito ulteriori studi, che mai nessuno fece (da quanto a me risulta). Potrebbe essere argomento “vergine” per una tesi di laurea. Ci sarebbe ben poca, o del tutto nulla, bibliografia nel caso. Nella prima metà del ‘400 fu occupato dai Malatesta di Cesena, che vennero scacciati nel 1463 dalle truppe del Papa e del Duca di Montefeltro. Il castello è rimasto pressochè intatto, con il “maschio” adiacente l’oratorio e sul retro, verso Montalto, i torrioni. L’oratorio, edificato nel 1657 ma preesistente e restaurato nel 1907 girando di 45° l’ingresso e l’altare, è uno scrigno di arte. Prima ancora che con la vista, la chiesetta comunica con il profumo di antico: se mi ci portassero ad occhi chiusi potrei riconoscere con totale certezza, fra mille posti, che sono nella chiesa di Calbano. Questo scrigno di arte, cosa contiene? Ne faccio una dettagliata presentazione perché sono sicuro che le cose sono al sicuro al 100 % 100, al contrario, sarebbe pericoloso rivelare l’esistenza di tali tesori".

Racconta ancora don Daniele Bosi: "Nel 2019, mentre i parrocchiani più attivisti stavano sistemando quanto preparato per la recente festa di Sant’Antonio, qualcuno evidenziò che c’era, in chiesa, uno sportellino misterioso. In un inginocchiatoio del ‘500, collocato vicino all’altare, c’era uno sportellino che, a memoria d’uomo, non era stato mai aperto e se ne era perduta la chiave. Dissi che era venuto il momento di aprirlo. E allora, con un coltello senza danneggiare nulla, facemmo leva senza danneggiare l’antica serratura, e dentro vi trovammo un piccolo cartoccio di giornale, legato da uno spago. Il giornale che avvolgeva il materiale era del 1896, e certamente non era stato più manomesso. Non vi descrivo l’emozione dei presenti, come un bambino di fronte al regalo portato da Papà Natale o di fronte alla calza della Befana. Uno strato di polvere avvolgeva il fagotto; sembrava venisse da un’altra epoca. In effetti era così. Apertolo, vennero alla luce 3 collane di corallo rosso e una di corallo nero, alcuni ex voto in argento, una moneta del 1875, alcuni cuori in stoffa. Erano rimasti nascosti dal 1898. I presenti vollero consegnarmi quanto trovato,  quando sentirono che mi ero offerto di donare un quadro per riporvi quanto ritrovato. Dopo una settimana il quadro era pronto, lo feci fare a Cesena, e la domenica seguente lo esposi ai fedeli della chiesa di Villachiaviche prima di portarlo, nel pomeriggio, alla sua originaria e futura sede. Lo appendemmo al muro, dopo averci posto sul retro una dedica minuziosa per chi, fra decenni, si chiederà il significato di quelle cose. Feci applicare dentro al quadro, con il vetro, anche il pezzo di giornale con la data ben evidente".

"Durante le due feste si canta l’Inno di Sant’Antonio, che compie 50 anni. Le parole furono prese in un piccolo librettino famoso (tra l’altro ancora conservato nell’armadio) intitolato “Cantemus Domino” dove c’erano le parole dell’Inno di Sant’Antonio di Padova. Ma mancava la musica; la compose, molto orecchiabile e immediata, il giovane Roberto Castellucci, diciottenne all’epoca (1972). La musica era tramandata a orecchio; io per primo la fermai, nel 1998, su pentagramma per i posteri. Ogni arredo è rimasto sul luogo grazie anche alla cura della famiglia Castellucci che, dal dopoguerra, si occupa della pulizia e della manutenzione dell’oratorio. Nell’ottocento è stato spostato l’ingresso della chiesa, che prima era dove ora c’è la parete sinistra, verso l’interno del castello. L’altare era infatti posto ad est, ora è a nord, e nel 1907 viene montata la grande ancona in legno intagliato, arrivata a Calbano su dorso di muli, come raccontò una testimone oculare ora scomparsa. I calbanesi, oltre cento di persone suddivise in 55 famiglie, sono eredi di tanti tesori: il castello medioevale, la chiesa di Sant’Antonio, l’Arena Plautina, le fondamenta di epoca etrusca. Nel 1984 importanti lavori di manutenzione a tutto l’edificio grazie al parroco don Renzo".

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