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Cronaca Verghereto

Balze si prepara all'evento, la storia della Festa dell'Apparizione

"Si avvicina velocemente, anche quest’anno, il giorno più atteso per le Balze, il 17 luglio, in cui si ricorda l’apparizione della Madonna a due pastorelle le quali vennero prontamente guarite"

Don Daniele Bosi, parroco di Villachiaviche, accende i riflettori sulla festa dell'Apparizione di Balze, piccola frazione nel comune di Verghereto.

"Si avvicina velocemente, anche quest’anno, il giorno più atteso per le Balze, il 17 luglio, in cui si ricorda l’apparizione della Madonna a due pastorelle le quali vennero prontamente guarite, essendo una muta e l’altra cieca. Ciò avvenne il 17 luglio 1494.  Domani si inizierà la giornata con la messa alle ore 7, celebrata dal sottoscritto; vado volentieri a Balze al mattino presto perché mi ricorda la mia adolescenza, quando 20 anni fa andavo su, con il motorino, per suonare alla messa delle 7 il 17 luglio e, dopo aver fatto servizio per tutta la giornata alle varie Messe e alla processione; ritornavo a casa a Sarsina oltre mezzanotte, dopo i fuochi d’artificio. In cambio il parroco mi offriva il pranzo e la cena. Una giornata che era tra le più attese per me in tutto l’anno". 

"Alle 11, per domani 17 luglio, è prevista la messa del Vescovo Douglas con la concelebrazione, animata dal coro parrocchiale di Balze. Segue un’altra messa alle 17.30 Poi alle 20,30 si terrà il raduno dei fedeli nel sagrato, da dove partirà la solenne processione che raggiungerà la chiesa dell’Apparizione, portandovi la statua della Madonna, che in precedenza era stata portata presso la parrocchiale. Un evento grandioso a cui partecipano centinaia di persone, anche dalle parrocchie vicine e dalla vicina Toscana.  Troviamo le origini di Balze al tempo degli Umbri, ai quali seguirono gli Etruschi. Successivamente, è noto che i Romani qui tagliassero i grandi abeti per armare la flotta di Ravenna e di quest’epoca ci restano ancora vari tratti di strade selciate romane. Nella seconda parte del primo millennio dopo Cristo nascono alcuni luoghi sacri di abbazia ed eremitaggio come Sant’Alberico, Ocri, Vignola, la Cella. Dopo vari periodi di contesa tra gli Ubertini, i Tarlati, i Guidi, i Montedoglio e il più famoso Uguccione della Faggiola, il territorio dal 1404 al 1923 passò alla Toscana, fin quando Mussolini decise che il fiume sacro ai destini di Roma non poteva non nascere che dalla sua Romagna. La chiesa millenaria si trovava in località Vignola; abbiamo un documento del 1049 dove questa, nella bolla di San Leone, viene donata all’Eremo di Ocri. Nell’anno 1083 essa venne innalzata al titolo di pieve, perché in quell’anno venne smembrata alla pieve di Casteldelci per disposizioni di Pietro, vescovo feretrano. Rimase sede parrocchiale fino al 1785, quando la sede parrocchiale fu trasportata alla chiesetta dell’apparizione fino al 1851, quando per l’aumentare della popolazione fu edificata in posizione migliore, poco distante dalla precedente, in proporzioni maggiori e meglio architettata, e da allora è sede parrocchiale. I ruderi della chiesa di Vignola vennero abbattuti totalmente nel 1871, e quelle pietre conce servirono alla costruzione del nuovo cimitero parrocchiale. Cosi si perderà per sempre l’antica pieve di Vignola". 

"Ubicata la borgata a 1091 metri sul livello del mare, Balze è un paradiso di panorami: verso sud si vedono prati larghissimi, irrigati da fresche acque, abbondanti di biade e pascoli, fonte principale di ricchezza per quei luoghi, dove ancora abbondano mandrie e greggi. Non è facile descrivere i sublimi panorami che da queste vette, dall’aspetto multiforme, si presentano davanti. L’occhio, colpito da sempre nuove meraviglie, corre lontano: dalle vaste pianure dove scorre il fiume Tevere in direzione Toscana, alla catena degli Appennini, i quali con sorprendenti trasformazioni si dilatano e terminano nel vastissimo piano romagnolo. Il monte delle Balze è tornato alla Romagna, ma vi faceva in antico, e per più secoli, essendo territorio alle dipendenze della Contea di Bobbio sarsinate. Alla Toscana è pervenuto per ragioni di conquista; per il fatto è chiamato ora Romagna-Toscana, dove ancora la popolazione ne risente nella parlata e anche un po’ nella mentalità.  Ma come avvenne il miracolo? Testimonianza più antica dell’evento, ci tengo a farlo notare, non è, come in altri casi, un manoscritto o un altro documento: testimonianza viva è una terracotta invetriata, posta al centro dell’abside della chiesa parrocchiale, trasportata qui nel 1851 dalla parrocchiale precedente, che era come detto vicino al luogo dell’Apparizione. Questa pala ad altorilievo, è costruita in terracotta invetriata policroma, rappresenta su fondo di paesaggio montato, al centro la Madonna seduta in trono con Bimbo, ai lati a sinistra il Battista e a destra Sant’Antonio Abate. Il paesaggio a scheggioni di roccia su terreno verdastro termina in una specie di acropoli coronata da tre ciuffi d’alberi, tra i quali accade la miracolosa apparizione della Madonna il 17 luglio 1949 alle due piccole pastorelle inferme accompagnate dalla mamma, che furono risanate secondo la tradizione, l’una dalla sordità, l’altra dalla ciecità. La Vergine al centro è seduta in trono (invisibile) sopra dado trapezoidale bianco, in abito color rossastro dai risvolti verdi, sotto il mando azzurro opaco. Il Bimbo è seduto sul ginocchio sinistro. Le aureole sono in giallo chiaro. Il Battista ha un manto rossastro dai risvolti bleu, cartiglio bianco e vello grigio; Sant’Antonio ha il manto di color manganese meno rossastro, bastone giallo a T impugnato con la destra davanti al corpo, libro bianco nella sinistra. In capo tiene una berretta. Il tutto è racchiuso entro una semplice incorniciatura ad ovuli bianchi a tre lati sulla predellina azzurra liscia sotto una fascia di fogliette, con agli estremi due scudi a bucranio che hanno un leone rampante reggente un giglio. Le soli parti non invetriate di tutta la pala sono le carni, dove la terracotta scoperta è semplicemente patinata. E’ opera della scuola di Andra della Robbia, fiorentino, degli inizi del 1500. Misura cm. 1.90 x 1.40. Già proveniente dalla chiesa dell’apparizione, è peccato che poi la pala sia stata murata altissima sulla parete di fondo dell’abside, cosicchè non è possibile godere pienamente l’interessante opera, di originale iconografia. Lo stile delle figure ha carattere nettamente fiorentino, con la nervosità caratteristica della plastica post – donatellesca diffusa dai modi verrocchieschi, che entrarono un po’ in tutte le botteghe scultoree del tempo. Il particolare stesso delle carnagioni lasciate prive di invetriato sottolinea, come spesso nella bottega robbiana, tale incisività realistica. E poichè l’opera deve collocarsi a cavallo dei due secoli, la bottega non può essere che non quella di Andrea. L’opera è ignota, come tutte le altre terracotte robbiane della Romagna – Toscana. Un opera eccezionale. Il documento più antico sul miracolo, realizzato qualche anno dopo l’Apparizione". 

"In chiesa, nella nicchia dell’altare destro, è collocata un’altra opera di bottega extrarobbiana, romagnola o marchigiana, della fine del sec. XV. Una Madonna con Bambino, statua, divisibile in due all’altezza della cintura. Era l’icona principale della scomparsa chiesa parrocchiale della zona, collocata a Vignola, trasferita nel santuario delle Balze quando questo prevalse per importanza del culto, presso l’abitato formatosi nella sede di pellegrinaggi al luogo miracoloso. Sorvoliamo la descrizione per non annoiare il lettore, ma ci sarebbe tanto da dire su questa stupenda opera.  C’era, conservata nel 1960 in sacrestia, un’altra importantissima statuetta purtroppo già scomparsa nel 1968. Si tratta di una Madonna in legno scolpita in legno dipinto, del 1500. Teneva il Bimbo alla sua destra, aveva un piede alzato sopra un plinto. Il ritmo della plastica seguiva una linea a spirale, assecondata dall’ansa del manto girato in cerchio. Posava sopra un piedistallo. Era opera di arte manieristica toscana, preziosissima. Era in cattivo stato: lacunosa per metà del capo di Maria, della testina del Bimbo e della braccia dello stesso. Misurava cm 55 x 14. Don Gino, in una lettera alla curia del 9 aprile 1972, denuncia per la terza volta la sparizione dichiarando di non aver trovato al suo arrivo la statua, nel 1968, in parrocchia, “evitando di apparire negligente o peggio coinvolto nel sospetto e nella colpa della sparizione”. Non esiste fotografia dell’opera. Racconta dell’episodio mons. Luigi Testi, grande sacerdote sarsinate (parroco di Sarsina, arcidiacono, Rettore del Seminario, vicario generale) nel suo volumetto “La chiesa di Sarsina – memorie” dell’anno 1939, il miracolo di Balze: “La Vergine Maria apparve il 17 luglio 1494 a due fanciulle pastorelle, una muta, l’altra cieca, apparve su di un masso con il Bambino in braccio, e in tono scherzevole avrebbe domandato se Le volevano dare le loro pecore. All’istante la cieca acquistò la vista e la muta la favella e ambedue risposero: “Volentieri, se la mamma è contenta”; e corsero senz’altro a casa. La madre tutta lieta al prodigio avvenuto alle due figlie, si affrettò con esse a venire al masso, ma la Vergine era scomparsa lasciando impressa sullo scoglio l’orma dei piedi. La fama del miracolo si sparse, annunziando la pietà della Vergine e diede origine al culto che dura tuttora presso quel popolo, il quale venera con divozione speciale la celeste Regina sotto il titolo “dell’apparizione e Madre delle Grazie”.

"Sul luogo dell’Apparizione venne subito costruito, dopo il prodigioso evento del 1494, un oratorio totalmente rifatto nel 1941 con l’aggiunta dell’Asilo Infantile. Il 17 luglio 1894 alla Vergine fu dato il titolo di Madonna delle Grazie, e vennero fatti solenni festeggiamenti con la presenza di tre Vescovi: di Sarsina, di Modigliana, del Montefeltro. Resta un bel completo di paramenti di colore bianco con decori floreali con piviale, tunicelle, pianeta recanti lo stemma del Vescovo regnante e la dedica “a ricordo dei IV centenario dell’Apparizione, 1894. Dal settembre 1933 al settembre 1941 è parroco di Balze don Giuseppe Baraghini, che poi andrà parroco a Turrito e dal 1948 a Sarsina. Dal 1941 al 1967 è parroco don Temistocle Salvi, chiamato con l’abbraviazione “don Temiste”, che precedentemente era parroco a Nasseto dal 1935. Nel 1967 muore improvvisamente il giovane parroco di Montecoronaro, Fabbrini don Giovanni. Don Temiste si presenta al Vescovo Bandini e dà la sua disponibilità per andare a Montecoronaro, che era tra l’altro la sua parrocchia di origine, dicendo al Vescovo: “è più facile trovare un parroco per Balze che non per Montecoronaro” e così vi si trasferì lui, fino alla morte nel 1990. Quindi il 1 ottobre 1967 viene nominato Arciprete di Balze il giovane don Lorenzo Marini, abbreviato in “Don Renzo” che era da tre anni cappellano a Ranchio e parroco di Rullato e Seguno: le idee ed energie del giovane parroco erano concentrate soprattutto per i giovani, ancora è ricordato a Balze come” il prete dei giovani”. Lassù c’era una forte unione tra i sacerdoti della zona, anche di diverse Diocesi, che si frequentavano e passavano molto tempo insieme. Come fu difficile in tutta la penisola, il ’68 fu sentito anche a Sarsina: nel mese di settembre il Vescovo Bandini lasciò quasi improvvisamente la Diocesi; a Sarsina da diversi mesi mancava il parroco per il trasferimento di don Baraghini a direttore dell’Opera di Carità Linea Gotica; cappellano era don Gino Pellizzer, sacerdote vicentino incardinato a Sarsina già dal 1952, e dopo un periodo di cappellanato a Ranchio, divenne cappellano di Sarsina dove rimase per 14 anni. Si pensava, infatti, che sarebbe succeduto lui a don Baraghini nella guida della comunità sarsinate; ma ci furono contrasti politici, anche in seguito ad alcune frasi circolate su un giornalino locale che il sacerdote aveva preparato. Questa storia non si trova scritta sui libri, ma sono le vicende che hanno attraversato la storia e, ricordandole dopo molti anni, non riaprono più ferite in quanto gli interessati sono ormai tutti passati a miglior vita; da loro infatti abbiamo udito questi racconti che non sono frutto di voci popolari ma testimonianze dirette di chi le cose le ha vissute. Don Gino era solito dire che, in quel rovente 1968, venne “spedito” al confino: a Balze. A Sarsina quindi servivano due sacerdoti nuovi: parroco e cappellano. Parroco divenne don Vicinio Caminati, rettore del Seminario, che in passato era stato parroco di altre tre parrocchie: Monteriolo (1938 – 1947), Sorbano (1947-1956), Montecastello (1956 – 1964); come cappellano venne chiamato don Renzo da Balze; che da parroco tornava vice – parroco: obbedì al nuovo Vescovo Gianfranceschi e dopo nemmeno un anno che era Balze scese a Sarsina; non tutti avrebbero accettato questa soluzione, cioè di tornare alle dipendenze di un altro parroco quando si era già abituati ad essere parroci autonomi". 

"Don Gino rimaste 30 anni esatti, fino al giugno 1998 quando, schiantato da malore, cadde davanti alla chiesa mentre stava sistemando alcuni fiori.  Mise i suoi talenti e le sue passioni a servizio della comunità; come l’arte del lavorare il legno (il chiesa resta l’ornamento dei pannelli nel coro, alcuni arredi minori come la statua del Gesù Bambino); diede grande spazio alla composizione di musica, messe, canti religiosi.  Dal 1998 al 2004 fu parroco don Agostino Grassi; il primo cesenate a reggere la parrocchia: i tempi erano ormai cambiati. Successe a don Agostino, don Maurizio Macini dal 2004 al 2010; per un anno, dal 2010 al 2011, padre Giovanni Damoch attuale parroco di Alfero; dal 2011 al 2018 don Renato Baldazzi, fin quando si chiuse la permanenza dei parroci a Balze dopo millenni. La storia stava cambiando. Ora la parrocchia è affidata a don Alfio, anche parroco di Bagno di Romagna dove risiede.  Nel 1990 si provvide al rinnovo delle campane della chiesa parrocchiale. Il concerto precedete era formato da campane tutte messe lì per caso, cioè senza un senso musicale, e in diversi secoli. C’era la campana più antica, del 1366 del noto fonditore Jacobus di Sassoferrato del quale ci restano ancora una dozzina di opere nella zona. Questa campana era crepata e inservibile; ora è ancora conservata in parrocchia. La grande campana grande, del 1884, era anch’essa crepata e oggi non esiste più in quanto venne rifusa per fare le campane nuove del 1990. Ne restavano due piccole funzionanti, una fusa a San Piero in Bagno dalla ditta Babini nel 1769, e una piccolissima del 1568. Queste vennero deposte in chiesa insieme a quella del 1366, alla vista dei fedeli. Trovai anni fa un foglietto di appunti nell’archivio di Balze, in cui il parroco don Gino faceva alcune ipotesi per sostituire le campane, portandone di usate invece di comprarle nuove; si ipotizzò di prendere due campane del Museo di Sarsina, le campane del 1829 di Montesorbo ma poi l’idea venne arenata e si fecero 4 campane nuove, dalla ditta Trebino di Genova, che ne compì anche l’elettrificazione. Le campane di Montesorbo rimasero nel museo fino al 2004, quando vennero montate nel campanile di Romagnano dove si trovano tutt’ora.  Nel 1994 si celebrò con grande solennità il V centenario dell’Apparizione, con la presenza del Card. Silvano Piovanelli e di una folla numerosissima di fedeli. Ero presente quel giorno alla messa del Cardinale, ricordo la folla numerosissima, con la messa celebrata in un palco davanti alla chiesa, all’esterno. Ricordo le nuove campane che squillavano lungamente a distesa, uscendo dal campanile essendo collocate sulle finestre. Per l’occasione vennero acquistate dalla parrocchia il necessario numero di trombe in plastica della ditta di amplificazione “Rcf” di Reggio Emilia che vennero montate in tutto il percorso della processione, ancora nelle nostre zone non esistevano gli altoparlanti processionieri radiocomandati (la prima ad acquistarli fu la Cattedrale di Sarsina, nell’agosto 1996), con centinaia di metri di cavo bianco preso per l’occorrenza. Questo materiale, nuovo, si trova ora qua e là nella soffitta della canonica, mai più utilizzato dopo la fausta occasione. Ricordo come, quel giorno, venne posizionato un telaio ferreo nella piccola aiuola che si trova in mezzo alla strada, pochi metri prima della piazza, venendo da Capanne. Questo telaio rappresentava il numero 500 (gli anni trascorsi dalla Apparizione) ed era ricoperto di candelotti luminosi che vennero accesi la sera stessa. Il parroco don Gino compose una messa a 4 voci dispari, la “Messa dell’apparizione” ideata per l’occasione e trascritta dal sacerdote con il computer, uno dei primi in zona a scrivere la musica utilizzando il computer per poi stampare il pentagramma come se fosse un vero e proprio libro.  A fianco della chiesetta dell’Apparizione venne edificato un particolarissimo campanile ferreo, che simboleggia un albero da cui pendono i 3 frutti (le tre campane). Oltre alle due piccole campane nuove, venne istallata e si trova tutt’ora, la piccola campana del 1568 che era sul campanile della parrocchiale fino al 1990".

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