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Cronaca

Anche l'alimentazione sotto la lente del Cicap: "Si mangia per marcare un'identità"

"Siamo in un'epoca in cui, prima di metterci a tavola, scegliamo soprattutto cosa non mangiare"

"Superfood? Solo un termine di marketing. Oggi siamo abituati a mangiare con la testa più che con la pancia, e così, tra un germoglio e un grano antico, mastichiamo parole come fruttarianesimo, dieta paleo, clean eating, veganesimo e chi più ne ha ne metta. Siamo in un'epoca in cui, prima di metterci a tavola, scegliamo soprattutto cosa non mangiare. 
Il glutine no, perché forse siamo intolleranti, la carne no, perché non è etica, l'olio di palma dimentichiamolo se vogliamo bene alle foreste e alle nostre cellule del pancreas, i grassi animali fanno male ma quelli vegetali come saranno prodotti? Il cibo cotto? La cottura toglie ogni vitamina, meglio crudo. Insomma c'è sempre più gente che non mangia qualcosa perché fa male, perché pensa di essere intollerante (spesso lo pensa e basta e non lo è), o perché è eticamente scorretto, e via via con molti altri perché. Siamo diventati tutti picky eater (letteralmente schizzinosi, esageratamente esigenti)". 

A sostenere questa tesi è Sara Porro, giornalista di cucina e scrittrice, tra i relatori al CicapFest 2017 a Cesena.  "Una dieta così limitata - ha detto Sara Porro al teatro Bonci - interferisce inevitabilmente anche con le relazioni  interpersonali: alla fine se si mangia uguale si esce anche insieme, così per sentirsi parte di un gruppo. Diventa quasi più una questione di identità che di dieta vera e propria". Sara Porro, infatti, partendo dalla storia del cibo e dalle tradizioni religiose, fa l'esempio del cibo kasher o la carne di maiale per il musulmano. "Non è vero che ci sono sempre delle ragioni pratiche, igieniche o concrete per non consumare un certo tipo di cibo - Sara Porro - spesso è solo un bisogno di condivisione di una regola, la necessità di appartenere a una comunità. Il buon senso non spiega quasi mai perché mangiamo quel che mangiamo, il perché ci affidiamo a diete che non hanno alcun senso dal punto di vista scientifico. Tutto si riconduce a un bisogno di identità. A questo riguardo mi viene in mente il fugu (pesce palla) giapponese che fino a un centinaio di anni fa in Giappone nemmeno lo consideravano. Adesso è diventato il cibo più richiesto, più costoso e più pericoloso (se non si pulisce bene si muore). Ecco oltre alle tre particolarità già citate, posso assicurarvelo perché l'ho mangiato, ne ha una quarta che è il poco sapore. Insomma si paga un sacco di soldi, si rischia di morire per mangiare un piatto poco gustoso". Conclusione: si mangia sempre meno con la pancia e sempre più col cervello.

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