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Redazione

Cos’è un popolo senza valori nazionali

Vignetta-tessariniAmmesso che per “valori nazionali” si intendano le Istituzioni (laiche o religiose, pubbliche o private, repubblicane o non), il Patrimonio naturale e storico-culturale, il Lavoro, la Patria, la Famiglia, la Libertà, la Giustizia, la Meritocrazia, l’Arte, persino l’Iniziativa privata e il Denaro, e che costituiscano il collante di una società, è lecito pensare che il loro declino o evanescenza generino, nel comune cittadino, insicurezza, pessimismo, frustrazione o, quanto meno, un senso inesplicabile di abbandono e di smarrimento. Sprovvisto di punti cardinali e capisaldi civili, egli non può che navigare a vista, occupandosi primariamente di tenere a galla la propria barca e confidare nella buona sorte. In altre parole, senza il prezioso capitale di fiducia ingenerato da valori e principi condivisi, le persone non possono che pensare ed agire egoisticamente (la naturale legge della sopravvivenza).

 Di conseguenza, un popolo che non pone sugli altari ciò che lo unisce, ciò che lo identifica in toto, sarà un mero assembramento di persone che condivide territorio, legislazione, organizzazione economica… ma niente di più. Manca il senso di appartenenza, di destino comune. Manca la reciproca fiducia. Manca una prospettiva condivisa. Insomma, manca l’anima – ciò che sessant’anni fa Alcide De Gasperi, con grande lungimiranza politica, chiamava “anima della Nazione”.

 Ora, il protrarsi di una situazione simile nel tempo indurrà ogni membro di qualsiasi società a tenere alta la guardia, a diffidare degli altri. Innanzitutto verso i poteri forti, poi verso i suoi pari. Scopo: evitare raggiri, abusi, inganni, delusioni. Così, mentre ognuno sarà intento a difendere il proprio orticello (al pensiero di “ognuno per sé e Dio per tutti”), all’orizzonte incomberà la minaccia della disgregazione sociale. Da qui al commettere o subire atti illeciti, il passo è breve. Ecco allora proliferare piccole ingiustizie, infrazioni a leggi e divieti, vessazioni dei deboli da parte dei forti. Ecco che si comincia a sfregiare la bellezza di ciò che appartiene a tutti, che si sbeffeggiano i diritti dei consumatori, che si forzano i meccanismi di tutela dei lavoratori e via discorrendo. Mi duole affermarlo, ma il popolo italiano questa spirale negativa l’ha già imboccata da un pezzo, quasi senza rendersene conto.

Il punto centrale è che, se siamo disposti ad accettare l’inaccettabile, se il disinteresse alla cosa pubblica serpeggia indifferente tra i cittadini – ovvero tra coloro che dovrebbero avere a cuore l’integrità morale e materiale della propria patria (che l’art. 52 della nostra splendida Costituzione definisce “dovere sacro”) – azioni ritenute un tempo illecite, indebite o immorali si trasformano. Cambiano pelle. Piano piano cioè diventano tollerabili e, in taluni casi, attirano inconfessabili invidie.

Non è questo il comune sentire in Italia? Non ci sentiamo abbandonati o, quantomeno, non percepiamo lontanissime le istituzioni deputate alla tutela dei nostri diritti (ospedali, Forze dell’ordine, carceri)? Non siamo conniventi quando veniamo a sapere che il nostro vicino evade il Fisco? Non proviamo una sfiducia innata nei confronti del dettame costituzionale: “La Legge è uguale per tutti”? Non giriamo la testa dall’altra parte quando vediamo un telefono pubblico divelto, un monumento imbrattato o anche solo un concittadino che getta a terra una cartaccia?
In quel preciso momento, nell’istante in cui queste immagini o queste informazioni giungono a noi, ci troviamo, volenti o nolenti, di fronte ad un bivio. Un bivio civile. A seconda di quale strada si imbocca, vi saranno conseguenze diverse, sia dirette che indirette: se proveremo rabbia, sdegno e un senso di ingiustizia o discriminazione, potremo attivarci tentando di migliorare o porre rimedio alla situazione. Avremo così svolto semplicemente il nostro dovere civico, sentendoci soddisfatti in coscienza. Se, invece, proveremo indifferenza o disinteresse, nulla cambierà e continueremo a sentirci cittadini impotenti e vittime del “Sistema”. Non solo: avremo contratto anche un debito civico e morale verso la collettività.

È una pia illusione quella di trasferire ai propri figli una sostanziosa eredità o trovare loro il “posto fisso” pensando che possa bastare per condurre una vita dignitosa. Se il retaggio della società nella quale questi figli vivono è anche quello di un paese sull’orlo del collasso civile, politico e, ahimè, pure economico come lo è oggi, la loro convivenza civile sarà davvero serena?

Le leggi, l’ambiente, il patrimonio culturale e tutti i valori finora enunciati vanno rispettati, applicati, coltivati e salvaguardati quotidianamente! Si può cominciare oggi stesso, dalle piccole azioni di impegno civico che, in fondo, tutti conosciamo e che pretendiamo dall’altro. Azioni normali.

Nel frattempo, coloro che osano di più, possono invece chiedersi se la tesaurizzazione di questi valori non sia forse l’ancora di salvataggio di un paese vicino al tracollo, percepito – credo dai più – come lontano.
 

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