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Redazione

Tutti a dieta, sperando nel carnevale

Terminati i bagordi natalizi si viene invitati, anche dai mass media, ad un massiccio senso di colpa . Abbiamo mangiato troppo, abbiamo messo su tre chili e saltato ben tre appuntamenti in palestra. Così fioccano i buoni propositi che si riassumono con la fatidica frase: “Sono a dieta!”. Molti poi aspettano con ansia che sopraggiunga il carnevale, periodo in cui è lecito fare qualche strappo, e mentre aspettiamo incerti fra dieta e carnevale ho avuto l’insana idea di riflettere sul tema dell’alimentazione umana per proporre una breve lista di considerazioni.

Certamente è noto a tutti che l’atto alimentare ha molteplici valenze: biologiche e simboliche, individuali e collettive, religiose e scientifiche. Alimentarsi è far rinascere la vita fornendole il necessario per rigenerarsi fisicamente, ma anche psichicamente. Ma farlo mangiando tanto, velocemente e scomodamente non ha il medesimo effetto che farlo mangiando il necessario, del migliore e di giusto ovvero gustando tutto e condendo il tutto con il massimo della propria consapevolezza, collegando la propria bocca con la propria mente.

Si è visto anche che compiere questa operazione di rigenerazione in completa solitudine non è la stessa cosa che attuarla in buona compagnia. Commensalità, convivialità e tessuto sociale realizzano, immediatamente e universalmente, l’effetto di creare un legame, di stabilire una relazione, di aumentare la socialità. Tutte cose che costituiscono gli elementi base per rigenerare il nostro essere individui sociali con un assoluto bisogno di far parte di reti sociali.

Mangiare assieme implica l’esistenza di regole e di organizzazione sociale e al contempo consente di formulare regole sociali che consolidano l’organizzazione (i posti a tavola, l’eventuale gerarchia sociale, le distanze, le prossimità, le relazioni d’obbligo, il fatto che mangiare assieme consente di riunire, ma anche di escludere). Il più infamato dei traditori tradì gravemente proprio perché tradì quelli con cui era stato a tavola (Giuda).

L’ingordigia di un commensale è vista come una precisa manifestazione di egocentrismo e al contempo una trasgressione della condivisione e del senso della comunità, nella misura in cui il singolo (per ingordigia appunto) mangia più della propria parte, in tempi rapidi, curvo a difesa del proprio piatto, segnalando quella che viene sentita da tutti gli altri come una volontà di non condividere. Chi poi palesemente rifiuta, sistematicamente, di mangiare con colleghi o amici è inizialmente richiamato all’ordine, ma se persiste nei suoi rifiuti viene presto escluso (non solo dalla tavola comune), sospettato di rifiutare la condivisione, di voler accaparrare, di pensare per sé e di mandare al diavolo tutti gli altri.

Ancora due veloci considerazioni. Pensiamo al digiunare, allo stare a dieta o al mangiare cibi particolari in modo particolare. Una volta stabilito che vi sono certamente situazioni biologiche e fisiche particolari, va riflettuto, per completezza, che anche queste tre modalità di alimentarsi possono diventare e possono racchiudere elementi simbolici interessanti. Possono ad esempio servire per segnalare la propria diversità dagli altri (non siamo come i peccatori che mangiano sempre, siamo fedeli più convinti perché digiuniamo secondo le regole, siamo veramente animalisti o ambientalisti perché mangiamo così o cosà). Possono diventare un modo per riconoscersi e per essere riconosciuti dal resto della comunità, ma anche un modo per distinguersi e per darsi una identità e rinforzarla (rigenerarla) ad ogni pasto. Il digiuno poi ha una valenza simbolica ulteriore. Purifica, libera dal bisogno contingente della materia bruta e, di conseguenza, libera dalla condizione umana immaginata come condizione sfortunata in quanto seggetta alle limitazioni della materia.

Finiamo ricordando la celebre frase: “Siamo ciò che mangiamo!” che prima di tutto dovrebbe ricordarci che alimentarsi significa introdurre alimenti, ovvero materia sotto forme diverse, per farla diventare noi stessi: un pezzo di fegato piuttosto che un grumo di sangue, una sinapsi piuttosto che un brandello di pelle nuova. Siamo ciò che mangiamo, ciò che beviamo, ciò che respiriamo, diventa anzitutto un richiamo ad una pressante verità che ricorda a tutti noi di essere un tutt’uno con l’ambiente e con la comunità che lo circondano. E’ un modo per resistere alla tentazione separatista ed egocentrica che ci ha condotto al delirante pensiero di essere separati e separabili dalla natura e dal resto della comunità umana.

Detto questo facciamo tranquillamente la nostra dieta riparatrice o tuffiamoci allegramente nel carnevale, cercando sempre di mantenere un barlume di consapevolezza su cosa significa alimentarsi.

Tutti a dieta, sperando nel carnevale

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