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Redazione

I luddisti del videopoker

E’ di qualche giorno fa la notizia che il signor Nure Bregu, padovano di origine albanese, abbia distrutto le macchinette dei videopoker di un bar a colpi di ascia dopo aver perso ben cinquemila euro in pochi giorni. Questo gesto, che ricorda il luddismo della prima età industriale, quando alcuni operai, con gesti spontanei ed isolati, distruggevano le macchine simbolo di sfruttamento, è certamente un caso limite che serve però a rendersi conto di quanto si sia aggravata la situazione della dipendenza da gioco d’azzardo.

A livello di senso comune il gioco d’azzardo è sempre stato considerato un vizio, una forma di devianza, spesso nascosta, che affligge un numero di persone non troppo elevato e di frequente insospettabili. Personalmente il gioco d’azzardo mi rimandava a due immagini: quella di uno scantinato buio, fumoso e affollato di uomini concentrati su carte, fiches e roulette, oppure quella di grandi e scintillanti casinò situati in località esclusive ed eleganti. Entrambe le immagini rimandavano ad un contesto di gioco d’azzardo come qualcosa che fosse racchiuso in luoghi specifici e riservati.

In italia negli ultimi anni si assiste ad una imponente trasformazione del gioco d’azzardo che lo ha portato a espandersi sempre più nella società e invadere spazi e settori della vita quotidiana dai quali prima era escluso. Un aspetto di tale fenomeno è la moltiplicazione dei gratta e vinci; in origine questa era pressoché l’unica forma di azzardo legale, di Stato, oggi ne esistono decine di forme diversificate a proporre il sogno di qualche facile vittoria. Ancora più lampante è la diffusione dei videopoker o delle slot machines che si posson trovare in innumerevoli bar e tabaccherie, oppure la crescita dei centri dedicati alle scommesse sportive.

Il gioco d’azzardo non è più quindi un fenomeno sommerso e circoscritto (come forse non è mai stato), bensì esso è giunto a diffondersi in modo talmente capillare nel nostro paese da far sì che un numero molto maggiore di persone possa esserne esposto o attratto. La forma patologica del gioco d’azzardo è da sempre oggetto d’attenzione di psicologia, medicina e psichiatria, e secondo il DSM-IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, ovvero il più diffuso sistema nosografico per i disturbi mentali) il gioco d’azzardo patologico, detto anche ludopatia, rientra nella categoria dei disturbi del controllo degli impulsi, ed ha una forte attinenza con le tossicodipendenze.

In Italia oggi sono stimati abbondantemente sopra il milione le persone affette da ludopatia; possiam solo immaginare i drammi vissuti da queste persone e dalle loro famiglie. Nonostante la pericolosa gravità della situazione non c’è dibattito pubblico, sia nel mondo della politica sia nel mondo intellettuale, sui possibili danni di tale incontrollata diffusione del gioco d’azzardo nelle sue diverse forme, al contrario si avverte un silenzio che fa sospettare complicità da parte delle istituzioni. Il caso del signor Nure Bregu invece ci ricorda quanto invece sia opportuno ed urgente controllare e regolare il sistema del gioco.

La psicologia è in grado di offrire idee, pratiche, incitamento e  sostegno alla politica perché si ponga almeno un freno agli effetti più devastanti delle ludopatie. Gli psicologi professionisti posson agire concretamente per aiutare le tante persone affette da tali patologie, restando coscienti di certi limiti d’azione: occorre infatti accettare il fatto che l’azzardo fa parte dei vizi umani, come la prostituzione o l’uso di sostanze, che non sono possibili da estirpare, contrariamente a quanto suggerirebbe un approccio proibizionista. Avendo coscienza di ciò si può tornare a discutere sull’urgenza di limitare e regolare la diffusione del gioco d’azzardo, magari tornando anche all’idea di destinarlo a luoghi esplicitamente dedicati ad esso e controllati, in cui chi entra sa cosa fa e cosa rischia. Perché infatti è proprio questo uno dei punti nodali del problema: la diffusione incontrollata e capillare del gioco che abbiamo oggi favorisce da parte delle persone la sottovalutazione e la banalizzazione dei rischi connessi ad esso; e così le persone si rendono conto troppo tardi delle conseguenze negative della propria scelta di continuare a giocare e rischiare.

Ma mentre il dibattito e l’azione politica nazionali ancora arrancano, gli psicologi possono almeno intervenire per aiutare le persone ad affrontare una situazione patologica di sofferenza dalla quale non riescono ad uscire da sole. Sarebbe auspicabile, magari a supporto dei servizi pubblici, sociali e sanitari che psicologi e psicoterapeuti si impegnino direttamente recandosi tra le persone nei bar e nelle tabaccherie per offrire comprensione umana e quell’alternativa di vita che pare non più percorribile a coloro che sono sprofondati nei vortici delle dipendenze.

Nel frattempo, attendendo che la questione acquisti sempre più visibilità nazionale, è un buon passo avanti la notizia che il comune di Bologna ha deciso di destinare incentivi economici agli esercenti che decideranno di non installare i videopoker e le slot machine. Questo è di sicuro un gesto forse ancora piccolo, ma comunque significativo.

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