rotate-mobile

CesenaToday

Redazione

Dalla parte del cattivo

Con la recente conclusione negli Stati Uniti, imminente anche per il pubblico italiano, della fortunata serie TV "Breaking Bad", in molti parlano dell'onorata fine della cosiddetta "era dell'antieroe" nel panorama delle produzioni televisive d'oltreoceano. Le storie di questa tipologia si svolgono attorno a personaggi principali connotati in modo principalmente negativo, più per vizi e malefatte che per virtù. Anti-eroi, appunto, non figure che incarnino con purezza i lati positivi dell'essere umano, né mostruose nemesi che si pongano in contrasto alle forze del bene.

Ad esempio, il protagonista della suddetta serie, Walter White, è un professore di chimica a cui viene diagnosticato un cancro ai polmoni, con scarse (o perlomeno molto onerose) speranze di guarigione. Per non lasciare nella miseria moglie, figlio adolescente e figlia in arrivo, il professore decide di mettere da parte soldi per la famiglia allestendo un laboratorio di produzione di metanfetamina, sostanza stupefacente nota negli States sia per la sua diffusione come per gli enormi costi che gravano sulla società, in termini sanitari e di ordine pubblico. Non proprio un modello di comportamento, si direbbe, tuttavia stiamo parlando della serie televisiva più seguita dal pubblico americano, acclamata dalla critica come una delle migliori di sempre. Walter White, inoltre, non è il solo: è in ottima compagnia con i protagonisti di altre serie altrettanto seguite ed amate negli ultimi anni. Ad esempio, c'è Dexter Morgan (protagonista di "Dexter"), metodico serial killer che di giorno lavora nella polizia scientifica e di notte uccide e disseziona criminali sfuggiti alle maglie della giustizia, o Tony Soprano (da "I Soprano"), capo di una cosca mafiosa del New Jersey.

Storicamente, inoltre, i moderni anti-eroi vantano molti illustri predecessori nel mondo del cinema e della letteratura: andando poco indietro negli anni, ad esempio, troviamo personaggi controversi come Alex e la sua banda di super-violenti Drughi in "Arancia Meccanica", Henry Chinaski come alter ego dell'autore Charles Bukowski, con passioni e vizi annessi, fino a antecedenti più classici come l'egocentrico (nonché cocainomane) Sherlock Holmes, oppure il dandy Dorian Gray. E l'elenco è solo all'inizio.

Insomma, la storia ed i moderni indici d'ascolto non smentiscono: il pubblico, che sia di spettatori o lettori (da ultimo, aggiungiamo anche i video-giocatori), non può fare a meno di affezionarsi a personaggi che ben poco hanno di eroico. Data per assunta l'abilità con cui gli esperti di marketing oggi riescano a pilotare i nostri gusti, mediante campagne magistralmente ideate o tecniche narrative d'effetto, la nostra passione per i "cattivi" rimane come costante nella storia. Cosa ci piace tanto dell'antieroe? Perché le vicende di persone che si macchiano di crimini efferati ci interessano così tanto?

Innanzitutto, la maggior parte di noi probabilmente vede nell'anti-eroe un riflesso più fedele di se stesso, riesce meglio a rispecchiarsi in un personaggio di particolare complessità morale e psicologica, perché è sentito come più "vero" rispetto al classico eroe senza macchia. Questi personaggi come tutti noi hanno difetti, commettono sbagli (anche se di ben altre proporzioni), si trasformano e crescono, ci sorprendono e talvolta ci deludono, rompendo i prevedibili (ed in fondo un po' noiosi) modelli di perfezione ai quali siamo stati abituati sin da bambini.

Si potrebbe riflettere anche sul come tifare per personaggi tutt'altro che positivi abbia una qualche funzione catartica, in linea con lo spirito dei tempi: in tempi di crisi economica e sociale molte sono le frustrazioni che tutti noi ci troviamo a sopportare quotidianamente. Questi personaggi in un certo senso ci liberano, ribellandosi alle aspettative ed ai vincoli imposti dalla società, oltrepassando i limiti per perseguire una giusta causa, almeno ai loro occhi. Inoltre, con le loro plateali malefatte, gli anti-eroi in parte giustificano le nostre scorrette piccole rivincite su un sistema sociale malfunzionante ed ingrato (tutti quegli espedienti che di solito chiamiamo "furbizia all'italiana"), o realizzano desideri che noi abbiamo paura anche solo di pronunciare ad alta voce.

Non da ultimo, ritengo che il vivere da spettatore le vicende degli anti-eroi ci affascini così tanto perché ci permette di dare una sbirciata in tutta sicurezza al nostro "lato oscuro", considerando gli aspetti del nostro essere che più ci spaventano. Le storie di questi personaggi ci fanno vivere situazioni di pericolo in modo vicario e permettono di prepararci psicologicamente a potenziali minacce che potremmo incontrare nella nostra quotidianità. Rispetto alla dinamica protagionista-eroe versus antagonista-cattivo, tuttavia, questo tipo di narrazione ci permette di guardare un tipo di malvagità meno assoluta e stilizzata, più realistica, più umana e da una posizione molto ravvicinata, conoscendo le motivazioni e le emozioni che spingono i protagonisti a compiere comportamenti moralmente riprovevoli direttamente dalla fonte. L'opportunità che ci viene offerta è quindi quella di comprendere, senza per questo giustificare, ponendoci in una sorta di contatto empatico con il protagonista ed una temporanea sospensione del giudizio. Sotto questo aspetto, il parallelismo con la pratica psicologica è evidente. Bene o male, in qualità di pubblico di questo tipo di narrazioni, siamo tutti potenzialmente psicologi.

Dalla parte del cattivo

CesenaToday è in caricamento