Il viennese Czaschka in mostra a Longiano
La prima mostra avrà come protagonista il viennese Jürgen Czaschka, uno dei più straordinari incisori viventi nell’arte del bulino, con 19 tavole, realizzate per il Don Giovanni di Mozart dalle quali si potra evincere la sua vocazione per il bulino e della poetica che sorregge il suo immaginario creativo. L’insieme di segni che compongono le incisioni di Czaschka – come indica Umberto Giovannini –, non concede nulla alla retorica e, attraverso il segno descrittivo, frutto di una meticolosa ricerca del dettaglio, ha la capacità di rendere palpabile l’incarnato o di restituire, di un oggetto, anche i più minimi particolari, come fosse un bisogno, una necessità, guardando con attenzione la “grande lezione cinquecentesca, da Dürer ai Fiamminghi”. Ma è lo stesso Czaschka, in primis, a rivelare il suo metodo inventivo (costruttivo), quando dichiara che tutto ciò fa parte di un suo gusto personale e ribadisce che gli piace rappresentare un oggetto com’è, per poi andare oltre; ad esempio, del rendere in incisione l’immagine di una bottiglia, dice: “non c’è solo una luce, ma infinite luci, che mutano in un gioco senza tregua, una sfida continua su come arrivare al punto, un punto che esiste solo nella mia mente. Il bulino è l’astrazione totale: c’è solo la linea, il bianco e il nero e, alla fine, anche rappresentare una bottiglia diventa una cosa astrattissima”.
“La grafica – sostiene Czaschka – non ha niente a che fare con la pittura. Io parlo venendo dalla cultura tedesca: i tedeschi pensano, ragionano tramite la grafica, invece in Italia e nei paesi latini c’è un altro concetto della grafica. Penso che con la grafica i tedeschi non cercano delle emozioni. […] nell’espressionismo, ci sono delle xilografie che sono una potente critica della società, sono forti e violente, eppure in esse domina il ragionamento o se vuoi un gusto narrativo”. La serie di incisioni al bulino, ora, in mostra a Longiano, dedicate al capolavoro di Mozart sono una delle più alte e significative rappresentazioni dell’iconografia dongiovannesca. Sono immagini forti (che trovano ragione in una narrazione ludico-sarcastica, non estranea, anche, a un universo epico pagano), affollate di soggetti, a tratti inquietanti e grotteschi, come nell’incisione, ispirata al verso di Da Ponte: “Se cadesse ancor il mondo nulla mai temer mi fa”, dove “sembra di esser risucchiati in una giostra popolata da individui bizzarri e mascherati come in un Carnevale di Venezia dai risvolti pienamente drammatici”.