Il progetto "Mantua, Cuba" di Paolo Simonazzi: l'impensabile legame tra la provincia padana e i Caraibi
Il lavoro fotografico di Paolo Simonazzi, realizzato a Cuba nel 2015, approda in mostra a Cesenatico dal 1° luglio al 6 settembre, presso la Galleria Comunale d’Arte Leonardo Da Vinci. Orari: tutti i giorni dalle 17.00 alle 23.00. Ingresso gratuito.
Mantua, Cuba è un progetto che nasce da un’esigenza intima e primaria dell’Autore: quella di ricordare l’amico scomparso Velmore Davoli, che aveva visitato quei luoghi nel 1999, all’interno di un programma di cooperazione internazionale. Il progetto, nella sua complessa e lunga evoluzione, si è arricchito del contributo fondamentale di Davide Barilli, che conosce bene Cuba, spesso protagonista dei suoi romanzi e dei suoi racconti. Proprio sulla base di queste sollecitazioni nascono uno studio e una ricerca che rivelano un’interferenza tra storia e leggenda, fra un’origine forse italiana della piccola cittadina caraibica e un brigantino genovese affondato nell’oceano, a poca distanza dalle coste su cui sarebbe sorta Mantua. Alcune testimonianze sembrano confermare l’avventurosa origine, ma poco importa la veridicità della Storia. La leggenda basta e avanza per costruire una narrazione e per cercare affinità elettive, apparentemente improbabili, tra la provincia padana e quella cubana, tra oggetti, simboli e dettagli sospesi in un “mondo piccolo”, che protegge la propria viscerale identità.
Simonazzi fotografa ciò in cui ritrova un senso di appartenenza, indipendentemente dalle latitudini geografiche, ovvero l’idea stessa di provincia: una nebula afosa, dove i muri possono essere testimoni di pezzi di storia, di fede, di sincretismo magico. E proprio dalla visione di una scritta ritrovata su un edificio in abbandono, Bar del olvido, tutto ha avuto inizio. Una scritta che diventa il sentimento intorno al quale ruota l’intero progetto, la dimenticanza come filo rosso tra Mantua, la sua bizzarra italica leggenda e la capacità intrinseca dei luoghi remoti di ovattare la Storia, di trasformarla e farla danzare su un teatrino in cartapesta. Tutto questo è filtrato da una cultura fotografica ben definita, che individua i propri modelli in quell’importante esperienza che dalla via Emilia arriva a toccare l’asfalto americano: da Luigi Ghirri ai New Topographers, passando attraverso il cromatismo di William Eggleston. Una cultura che Simonazzi rivendica e attualizza nella consapevolezza di raccontare una leggenda, qualcosa che forse è già scomparso anche se ancora davanti agli occhi. Qualcosa che va comunque protetto, anche solo per provare il piacere di potersi rifugiare, qualche volta, nelle illusioni.
Paolo Simonazzi, divide la propria vita tra l’attività di medico e quella di fotografo. Lo stile delle sue fotografie è narrativo, con una visione che va da affettuosa a profanante nei progetti sviluppati, in particolare nella sua area di origine o altrove. Le sue fotografie sono ambientate in luoghi inaspettati dove le cose appaiono senza preavviso; in quelle strade secondarie in cui il limite tra reale e surreale è sfumato ed è più facile entrare in contatto con l’umile, straordinaria stranezza che può regalare un sorriso alla vita di tutti i giorni.
Simonazzi ha partecipato a numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Ha pubblicato diversi libri fotografici e alcune sue opere sono conservate in importanti istituzioni, musei e collezioni private.