A Sarsina la mostra "Don Chisciotte sulle strade di Plauto" di Francesco Secchioni
Grande appuntamento quest’anno con la Storia, il 2016 segna i duemila anni della morte di Plauto e la sua città lo celebra col cuore, con “l’animus” che si dà ad un figlio ed anche a colui, al di là della patria che è il più grande commediografo latino, o meglio forse il commediografo più grande. Presenta la mostra Mauro Capitani: "Appunto, al di là dei confini geografici, il 2016, celebra anche i quattrocento anni della morte di Miguel de Cervantes Saavedra, lo scrittore spagnolo che stende in due parti tra il 1605 e il 1615 il primo romanzo dell’epoca moderna: “Don Chisciotte”. Quel tempo di miserie e splendori che nell’infelice vita dell’autore, ha trovato poi riscatto in opere teatrali (v. tra gli altri lo spettacolo del grande Carmelo Bene del 1968, che nel 1970 doveva essere adattato anche per la RAI, purtroppo il progetto non andò a termine, nonostante il grande cast: lo stesso Carmelo Bene, Eduardo De Filippo, il clown russo Popov e Salvador Dalì, quale scenografo), oltre ai molti film stranieri e italiani come quello di Maurizio Scaparro (1984), fino alla comicità, della versione già prima di Gianni Grimaldi (1968) con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Tra sogni e risa. In effetti, così per restare in Spagna, Calderòn de la Barca scriveva “La vita è sogno”. Una visione in questi disegni e dipinti di date discoste che Secchioni si è costruito su quel sogno ispanico, nonostante di personaggi affidati alla storia, ne abbia incontrati molti nel suo viaggio di vita, sulle orme di Simòn Bolivar fino a Lawrence d’Arabia, nella fascinosa cornice del suo deserto. No, è Don Chisciotte a entrargli in testa, anzi nel corpo, sicuramente nel volto. I suoi tratti somatici sono simili ad una illustrazione di Gustave Doré, nell’incidere il profilo del nobile Alonso Quixano, alias Don Chisciotte della Mancia. Quindi, opere in questa mostra, dove l’autore è il protagonista dei dipinti e lo stesso primo attore ne é anche l’autore. Insomma per restare a Sarsina in epoca romana, abbiamo Giano Bifronte. La mia conoscenza con Francesco Secchioni è datata a certi primi disegni degli anni settanta, legati al nostro “eroe” e qui presenti. Poi anni di totale scomparsa e silenzio fino all’inizio del terzo millennio, dove lo ritrovo più Don Chisciotte che mai. Mi mostra tanti quadri di figure, soggetti religiosi,tele di umana tristezza che parlano della guerra in Bosnia, insomma il pittore ha percorso in questi anni il suo tempo. Io però penso ancora al Don Chisciotte che mi è davanti e torniamo a parlarne, apre un cassetto e ritrovo quei vecchi disegni, ora supporto a quadri non visti. Opere più che mai attuali, dove le assurde avventure cavalleresche, gli ideali, si sono purtroppo destati dal sogno, per trovarsi in un mondo smarrito e incredibile agli occhi di appena ieri. In queste opere, Secchioni si è tolto se pur ignaro, ma la vita resta sogno, l’apparenza dell’inganno, per risultare presago della crisi della sensibilità e dello smarrimento umano. Ed ecco figure incappucciate, come avidi imbonitori e la donna dei sogni del cavaliere, la giovane Dulcinea del Toboso, sembra assumere i tratti dell’Antico Continente, dove la tentata gioventù, naufraga in un’osteria che ad occhi stolti, sembra un gran castello. In questo non distinguo tra realtà e finzione c’è Sancho Panza, farneticamente nominato da Don Chisciotte, suo scudiero. Quel goffo contadino con i piedi piantati fermamente, è il contraltare alle follie del padrone ma che purtroppo, come tante voci di oggi, si lascia trascinare in imprese impossibili e rovinose. Il segno asciutto di Secchioni, sta nel disegno quanto sulla tela e nonostante la frequente voluta assenza di Sancho, l’Artista vuole che il sogno continui nel delirio più assurdo. Il vaneggiamento rende i due personaggi, pur diametralmente opposti, sullo stesso piano dignitario. Una parità di merito che già Honoré Daumier, aveva socialmente espresso nel suo tempo. La pittura di Secchioni, in questo ciclo, è emblematica e poeticamente fuori del tempo e quel certo non finito, monocromo degli studi, appare come la tinta della nostra epoca".
Francesco Secchioni, nasce a Firenze, nel 1947, in quel quartiere più fiorentino che mai, San Frediano, reso famoso nella letteratura da Vasco Pratolini con il libro “Le ragazze di San Frediano” e poi nel cinema da Valerio Zurlini, con l’omonimo film del 1955. Un quartiere di Maestri artigiani e di artisti ed ancora di quella sua gente che ne ha arricchito le mille tinte di popolarità. Fin da piccolo Secchioni colora e disegna con quella passione che già ne delinea la futura esperienza artistica. Più tardi lascia con la famiglia Firenze e si trasferisce a San Giovanni Valdarno ma dopo un periodo non facile, inizia una singolare avventura di vita, prima in Italia e poi nel mondo. Lavora a Viterbo per un lungo periodo, effettua alcune mostre ma poi abbandona la città “papale” e inizia a varcare molti confini dell’Europa, fino a spingersi in Russia ed amarne le tradizioni e la cultura. Moderno cavaliere errante, attraversa l’Oceano e si spinge in Sud America, in Colombia, Venezuela, Ecuador e le Isole caraibiche. Un pathos intenso che in tanto coinvolgimento, la pittura ne è più che mai compagna. Ma una grande nuova avventura è già nel suo spirito inquieto e smanioso; un grande viaggio in Africa per attraversare in moto il Continente desertico, tanto da partecipare ad alcune edizioni del “Rally dei Faraoni”. Dopo, rientra in Italia, “approda” in Abruzzo nel paese marino di Martinsicuro, ove tiene dei corsi di Pittura, accompagnati da alcune mostre personali nel teramano. Poi, il rientro in Toscana, a Montecatini, dove allestisce numerose mostre, nel clima allora vivo intellettualmente, della cittadina termale. Oggi vive e lavora tra San Giovanni Valdarno e Montecatini.