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"Piadina al veleno", il presidente di Slow Food Petrini: "No all'Igp senza qualità"

Confesercenti e Slow Food affermano da anni che la Vera Piadina Romagnola è solo quella prodotta tradizionalmente, la produzione industriale non può essere tutelata da un marchio pubblico come l’Igp

“Quando una Igp o una Dop non proteggono il prodotto che davvero ha un legame con la storia e le tradizioni di un territorio, allora l’utilizzo di questi strumenti, che la legislazione europea mette a disposizione, è scorretto e lesivo della leale concorrenza”. Carlo Petrini, fondatore e presidente internazionale di Slow Food interviene direttamente (una intera pagina sul quotidiano La Repubblica di giovedì) sulla bocciatura del Tar del Lazio al disciplinare Igp alla Piadina Romagnola che vorrebbe tutelare la piadina industriale.

Confesercenti e Slow Food affermano da anni che la Vera Piadina Romagnola è solo quella prodotta tradizionalmente, la produzione industriale non può essere tutelata da un marchio pubblico come l’Igp. Ed è ciò che ha affermato la sentenza del Tar Lazio del 15 maggio scorso, che ha accolto il ricorso di un’azienda dichiarando illegittimi il disciplinare di produzione che Regione Emilia-Romagna e Ministero delle Politiche Agricole avevano presentato alla Commissione Europea nel 2012 ed i relativi decreti ministeriali di riconoscimento della tutela provvisoria. La motivazione afferma in modo perentorio che se c’è la possibilità di riconoscere una reputazione tutelabile dovrà essere solo per la piadina prodotta in maniera tradizionale e manuale e non certo per quella industriale. Come dire: la Piadina Romagnola è solo quella prodotta nei chioschi o nei ristoranti.

“L’autenticità - ha dichiarato Petrini su Repubblica - non può essere creata ad arte da un’indicazione e da un bollino: ecco cosa ha stabilito recentemente il Tar del Lazio rispetto alla domanda di riconoscimento della Igp Piadina Romagnola. E lo ha fatto sulla base di un’analisi nata nell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche. Ecco cosa è successo. Nel gennaio 2012, la Gazzetta ufficiale italiana pubblica il disciplinare della Piadina Romagnola Igp. Si tratta della proposta che un’associazione di produttori ha formulato e, attraverso la Regione Emilia-Romagna, sostenuto davanti al ministero delle Politiche agricole. L’associazione di produttori è fatta da gruppi alimentari importanti e il testo che viene pubblicato lo rispecchia: viene prevista, accanto a quella artigianale, la produzione industriale della piadina, attraverso macchine per fare i dischi di pasta (altro che mattarello!), niente ingredienti del territorio, possibilità di lunga conservazione, sotto vuoto, in atmosfera protettiva o mediante il freddo".

"Il disciplinare - ha aggiunto Petrini - rivendicava la storia vera della piadina, con grande sfoggio di richiami a preparati tradizionali e addirittura a Giovanni Pascoli. Però tutti questi richiami erano alla consuetudine casalinga, tutt’al più artigianale della piadina: un prodotto preparato e consumato fresco, sul territorio, da acquistare appena uscita dal testo di un “piadaro” (o più spesso una «piadara») per essere mangiata subito. Capito il trucco? Faccio un’associazione di produttori industriali; rivendico la storia di una produzione artigianale, ottengo il riconoscimento Igp e a questo punto l’autenticità a chi apparterrà? A chi ha fatto la storia o a chi ha ottenuto il bollino? E dopo che l’Unione Europea avrà accordato la protezione, alla denominazione o alla indicazione geografica, chi potrà permettersi i costosi processi di certificazione? Non certo i produttori artigianali, dai piccoli numeri, sebbene dalla grande storia”.

“E aggiungo – ha proseguito Petrini - una nota che potrà stupire qualcuno, ma contribuisce a chiarire qualche possibile dubbio residuo. Come gastronomo e come attivista considero come una grave sciagura la protezione accordata a cibi che non sono realmente, eccellenti, tradizionali: in una parola, degni della tutela cui i loro produttori aspirano. Non credo affatto che sia un valore di per sé aumentare le Dop e le Igp italiane, se a queste tutele non corrisponde reale valore da proteggere, veri saperi e territori che si rispecchino in un cibo che da essi deriva. Dobbiamo promuovere certificazioni capaci di attestare tutto il percorso produttivo e di codificarne i passaggi, le materie prime e il reale collegamento con la tradizione”.

“Siamo naturalmente molto soddisfatti – affermano Graziano Gozi, direttore della Confesercenti Cesenate e Gianpiero Giordani, responsabile della Associazione per la Valorizzazione della Piadina Romagnola (quella dei chioschi) – che una personalità di grande prestigio come Carlo Petrini sia intervenuto direttamente e in questa maniera sulla battaglia che portiamo avanti da anni a tutela del lavoro dei chioschi di piadina e dei ristoranti che producono quotidianamente la vera piadina romagnola. Ci auspichiamo che la sentenza di un organo importante come il Tribunale Amministrativo del Lazio, che ha fatto propri i nostri principi e le posizioni sull’argomento, venga ribadita da tutte le altre istituzioni competenti, per restituire rispetto alla piadina e a chi la produce da sempre quotidianamente, manualmente e tradizionalmente. È paradossale, fuori da ogni logica e senza buon senso un disciplinare che prevede che la denominazione "piadina romagnola" possa diventare patrimonio dei grandi produttori industriali di questo prodotto mentre i tradizionali chioschi potrebbero, di fatto, perdere "il permesso" di poter chiamare in questo modo la propria lavorazione poichè dovevano sottostare a ingredienti e regole pensate per macchinari industriali che producono e mettono nelle buste di plastica migliaia di piadine al giorno. L’intervento del presidente internazionale di Slow Food pone un’attenzione molto importante sulla questione che speriamo venga colta appieno da tutti”.     

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