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Confartigiano: "Salviamo la piccola impresa"

"Da diversi mesi Confartigianato evidenzia la necessità di porre al centro dell'agenda politica, anche sul piano locale, il tema della salvaguardia del modello economico fondato sulla piccola impresa"

"Caro direttore, da diversi mesi Confartigianato evidenzia la necessità di porre al centro dell'agenda politica, anche sul piano locale, il tema della salvaguardia del modello economico fondato sulla piccola impresa. Nonostante che si siano intensificati, anche con episodi drammatici, i segnali di disagio, a tutt'oggi poco o nulla è stato fatto contro la solitudine dei piccoli. Certo, fa più notizia e suscita maggiore attenzione il caso di un'impresa con 100 dipendenti che chiude, piuttosto che la chiusura di 100 piccole imprese agricole, artigianali, commerciali. Nel primo caso si mobilitano mass media, istituzioni, politici e sindacati. Nel secondo, le imprese e le loro organizzazioni rimangono isolate, incapaci di fare percepire le dinamiche economiche, sociali ed umane legate agli effetti delle chiusure.

Questo è ancora più grave in un territorio come il nostro, dove la piccola impresa ha dimostrato nei fatti di alimentare lo sviluppo e l'occupazione e di essere portatrice sana di una cultura della responsabilità, che ha consentito di ammortizzare gli effetti della crisi e di garantire quella coesione sociale che rappresenta una valore competitivo del nostro territorio. Le nostre imprese vivono una stagione di grande difficoltà, complicata, oltre che dall'andamento congiunturale, anche da un ambiente esterno che non è certamente favorevole allo sviluppo.

L'aumento abnorme della pressione fiscale anche a livello locale e della miriade di controlli finalizzati a verificare la corrispondenza ad adempimenti amministrativi, che la complessità delle norme e la discrezionalità burocratica rendono spesso difficili da osservare, complicano enormemente il lavoro di imprenditori già alle prese con problemi di fiducia nel futuro e di quadratura dei conti aggravati anche dai difficili rapporti con il sistema bancario. In questo contesto, si rischia concretamente di perdere il patrimonio più prezioso a nostra disposizione e cioè la propensione al rischio d'impresa e la voglia di fare. La voglia di costruire un progetto di vita per migliorare le proprie condizioni personali e familiari e per garantire una prospettiva ai propri collaboratori, che spesso sono legati da vincoli di parentela e di amicizia agli imprenditori.

Noi continuiamo ad essere convinti assertori della modernità della piccola impresa, rifiutando le logiche altalenanti dove il piccolo diventa bello o brutto a seconda delle occasioni e delle convenienze. Crediamo in coloro che, magari, dopo una notte insonne per i tanti problemi del momento, al mattino sollevano le saracinesche delle proprie aziende rifiutando la logica della sconfitta e profondendo tutte le loro energie, con sacrificio e passione, per trovare occasioni per continuare la loro avventura imprenditoriale. Crediamo in coloro che rispettano gli impegni presi, che si arrabbiamo perché non riescono a vedersi riconosciuti i propri diritti da una giustizia civile che favorisce i furbi e penalizza gli onesti, specie sui pagamenti, o da uno stato che è sempre più esigente sui doveri, ma che rimane molto elastico nel riconoscimento dei diritti dei cittadini.

Crediamo in imprenditori che, nonostante le difficoltà, continuano a tirarsi su le maniche e si sporcano le mani per garantire un futuro ai propri figli ed alla propria comunità. Migliaia di persone che, come il falegname di Nazareth con umiltà e senza chiedere nulla, rinnovano ogni giorno il miracolo del fare, del saper fare e trasmettere le conoscenze agli altri. Imprenditori che rifiutano la logica della selezione darwiniana delle imprese e le ricette di coloro che studiano in laboratorio l'economia, spesso senza aver mai messo piede in azienda.

Troppo spesso nel dibattito pubblico assistiamo a dichiarazioni liturgiche dove si parla in maniera tautologica di sviluppo e di crescita e dove si ricercano soluzioni e modelli, spesso slegati dalla nostra realtà, magari ricercando un'assonanza con le dichiarazioni ritenute nel momento “politicamente corrette”. Crediamo che il nostro territorio, a tutti i livelli (istituzionali, politici, bancari, associativi ecc) possa e debba fare di più per queste imprese, nell'interesse non dei singoli imprenditori, ma per il futuro economico e sociale di tutti. E' questa la sfida che dobbiamo affrontare e rispetto alla quale chiediamo un cambio di passo, perché il tempo delle parole e' oramai, purtroppo, definitivamente esaurito".

Il Gruppo di presidenza
Confartigianato Federimpresa Cesena
Alessandro Naldi, Lorena Fantozzi, Ivano Scarpellini

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