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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Ecco la storia degli ultimi due drammatici mesi, si ammaina la bandiera del Cesena

Tutto in due mesi: dalla gioia per la salvezza in campionato alla parola più cupa, fallimento, dalla grandi speranze alla polvere. E' la drammatica parabola

Tutto in due mesi: dalla gioia per la salvezza in campionato alla parola più cupa, fallimento, dalla grandi speranze alla polvere. E' la drammatica parabola del Cesena e del suo presidente, Giorgio Lugaresi. Oggi, lunedì 16 luglio 2018, si spegne definitivamente la luce sulla società calcistica bianconera, dopo 78 anni di storia, una cinquantina dei quali guidati dalla famiglia di Lugaresi: prima Dino Manuzzi, poi il nipote Edmeo Lugaresi ed infine il figlio di quest'ultimo, Giorgio (con l'importante parentesi di Igor Campedelli). La società continua ad esistere, ma aderendo al fallimento richiesto dalla Procura della Repubblica, senza opporsi quindi per le vie legali, di fatto va ad un'eutanasia che potrebbe sfociare nella morte vera e proprio tra meno di un mese, quando ad inizio di agosto si terrà la prossima udienza in tribunale.

L'inizio della fine è paradossalmente un giorno di festa: venerdì 18 maggio la Cremonese viene battuta e il Cesena si guadagna sul campo il diritto a rimanere in serie B, la salvezza più volte evocata fin dall'inizio della stagione dai dirigenti della società come obiettivo del campionato. Poco dopo Castori firma un contratto che lo lega al Cesena fino al 2020, sembra il primo mattoncino al suo posto in vista del mercato. Ma già qualcosa inizia a scricchiolare, quando, a fine maggio, Rino Foschi, braccio destro di Lugaresi, l'uomo delle “missioni impossibili” sul calciomercato decide di lasciare. Solo un'avvisaglia o qualcosa di più?

Inizia il 7 giugno in sordina l'altro cammino - quello fuori dal mondo scintillante del pallone, ma dentro le grigie aule di tribunale – per mettere a posto i conti della società. All'inizio il problema sembrava essere solo l'Agenzia delle Entrate, che pareva essersi impuntata, con la burocrazia tipica degli apparati statali, tutta fatta di codici e interpretazioni, col rischio di far sfumare al Cesena la salvezza guadagnata nel rettangolo di gioco. In molti hanno guardato a questo passaggio con l'atteggiamento “all'italiana” che tutto si sarebbe sistemato e che non poteva certo essere un problema fiscale a fermare lo show calcistico. Eppure man mano che passava il tempo l'Erario non cedeva di un passo e alla fine ribadisce il suo 'no' per ben tre volte. Era il 19 giugno scorso quando tutta la città era appesa alla famosa “pec”, una sorta di oracolo dell'età digitale. E la “pec” dava pollice verso.

La questione precipita. Ed è alla fine di giugno che emerge che il Cesena è sotto il fuoco incrociato di ben tre enti: non c'è solo l'Agenzia delle Entrate, che reclama i suoi 40 milioni di euro, in gran parte Iva mai versata. Ma c'è anche la giustizia penale, con la Procura che palesa inevitabilmente un'indagine in corso depositando una richiesta di fallimento. In essa si riportano diverse risultanze delle scrupolose indagini della Guardia di Finanza: non c'è solo il debito oceanico con il fisco (“La società si è finanziata per 5 anni con l'omesso versamento dell'Iva”, recita l'accusa), ma anche evidenti taroccamenti di bilanci, con il caso plusvalenze (senza le quali il Cesena, a detta degli inquirenti, avrebbe chiuso i battenti molto prima), già portata alla luce da alcune inchieste giornalistiche. Ma nelle pieghe dell'indagine ci sono operazioni immobiliari di dubbia utilità tra l'AC Cesena Spa e gli stessi soci. “La liquidità è stata convogliata in buona parte a favore di soggetti già amministratori del Cesena Calcio, i quali dagli elementi disponibili appaiono essere gli unici ad aver tratto vantaggio dall'operazione, a detrimento delle società amministrata”, indica la relazione. Solo a quest'ultima accusa replica la società, difendendo la bontà dell'operazione immobiliare e spiegando che questa non avrebbe gravato nell'immediato sulle casse del Cesena, al contrario patrimonializzandole.

C'è infine la Covisoc, la commissione di vigilanza sui bilanci delle società calcistiche, che sferra il suo attacco. La Covisoc aveva effettuato un'ispezione lo scorso marzo. Al termine dell'istruttoria viene richiesto al Tribunale delle Imprese di Bologna che siano estromessi gli attuali amministratori e la società venga commissariata. Un fuoco incrociato che, in sostanza, rende evidente nella sua drammaticità la questione di fondo: nella casse del Cesena c'è una voragine di almeno 72 milioni di euro (circa 50 milioni è la cifra indicata da Lugaresi, al netto di crediti compensabili, nella sua ricostruzione) e nessuno disposto a metterci dei quattrini freschi. Sono momenti drammatici: Giorgio Lugaresi invia a diverse persone una lettera in cui annuncia il suo suicidio. Polizia e Guardia di Finanza intervengono immediatamente per sincerarsi delle sue condizioni. Il 24 giugno l'Agenzia delle Entrate ribadisce, sempre con “pec”, il suo no ad un accordo di ristrutturazione del debito giudicato fragile e non finanziato. E' l'inizio della caduta nel baratro più profondo.

Il sindaco Paolo Lucchi – che già aveva chiesto alla società di esibire la reale situazione con trasparenzarevoca lo stadio e gli impianti comunali in uso al Cesena Calcio. Ma soprattutto, con l'investitura delle massime autorità sportive, avvia un percorso per creare una nuova società e non lasciare Cesena senza calcio per una stagione intera. Lucchi decide di emettere un bando pubblico, gestito da un “comitato di saggi” dello sport locale, ma anche professionisti in diverse materie economiche. Ne nasce un assurdo braccio di ferro con Giorgio Lugaresi. Dopo essere giunta ad un passo dal gettare la spugna, il 29 giugno contro ogni logica la società presenta la sua richiesta di iscrizione alla serie B. Viene presentato come un atto dovuto, nel caso in cui qualche nababbo arabo si volesse far vivo all'ultimo per ripianare i debiti del Cesena. Ma la domanda è di fatto un foglio bianco e la Covisoc giovedì scorso la boccia come era ampiamente previbile.

Nel frattempo c'è la mobilitazione dei tifosi. Vengono riaperti gli uffici per rimborsare gli abbonati che decidono di disdire l'abbonamento. Ma per molti è una fede e in diversi non vanno a ritirare il loro denaro. Sabato 30 giugno è il giorno del corteo dei tifosi bianconeri, dallo stadio a piazza del Popolo. Emerge chiaramente che tutti sono contro Lugaresi: non solo gli ultras – che non lo hanno mai amato – ma anche il coordinamento dei club della tifoseria, oltre al sindaco e a tutti gli imprenditori che negli ultimi mesi non si sono fidati del progetto allestito . La società è andata così avanti così per due settimane, nel vuoto pneumatico formato intorno alla sede di corso Sozzi dal resto della città. Un'ultima, flebile, speranza, era targata inglese, da parte di un fondo di investimento del Regno Unito che si sarebbe detto interessato al salvataggio economico della società. Lugaresi si è detto pronto a uscire di scena se tale fondo si fosse impegnato. Lunedì la giornata definitiva per tutto: per il fondo inglese per impegnarsi e per l'AC Cesena Spa per impugnare l'esclusione dalla serie B. L'epilogo è racchiuso in una nota di due righe pubblicata sul sito della società: “L’A.C. Cesena comunica che il Consiglio di Amministrazione riunitosi in data odierna ha deliberato di aderire all’istanza di fallimento avanzata dalla Procura della Repubblica di Forlì. Fine dei giochi, game over. Come chiedevano i tifosi che hanno esposto la striscione: "Lugaresi, porta i libri in tribunale".

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