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Cronaca Cesenatico

Cesenatico celebra il 70esimo della Liberazione: "Allargare gli orizzonti"

“Pace Democrazia e Libertà sono i valori per i quali hanno combattuto i nostri padri fino anche al sacrificio della vita", esordisce il sindaco Roberto Buda

Cesenatico celebra il 20 ottobre il 70esimo della Liberazione. Alle 9,30 è prevista la partenza dal Comune di Cesenatico per la cerimonia di deposizione delle corone. Seguirà alle 11.30 una messa alla Cappella del Cimitero cittadino. “Pace Democrazia e Libertà sono i valori per i quali hanno combattuto i nostri padri fino anche al sacrificio della vita - esordisce il sindaco Roberto Buda -. La ricorrenza della Liberazione di Cesenatico dal nazifascismo avvenuta il 20 ottobre di 70 anni fa deve rappresentare un momento di memoria e di riflessione".

"In questo senso stiamo cercando di recuperare tutti i nomi dei caduti di Cesenatico, civili e militari, della II Guerra Mondiale, da ricordare con una lapide che fino ad oggi non è mai stata realizzata - chiosa il primo cittadino -. Credo che il compito nostro sia oggi quello di attivarci per rimuovere ogni forma di ostacolo che impedisca alle persone di vivere pacificamente e in condizioni di dignità. E’ necessario mettere al centro dei nostri proponimenti la persona, salvaguardando e favorendo la piena realizzazione di tutte le sue dimensioni".

"Dobbiamo dunque tendere alla tutela dei diritti umani, che consideriamo naturali, impegnandoci sia in ambito locale sia in contesti di maggiori dimensioni, favorendo con forza pari opportunità per ciascuno. La pacifica convivenza e la libertà rappresentano un bene che trascende confini e limiti territoriali. Dobbiamo guardare oltre il nostro particolare e allargare gli orizzonti, consci che ciò rappresenta una ricchezza a vantaggio delle generazioni presenti e future", conclude.
 
DALLA STORIA DI CESENATICO - Il 20 ottobre 1984, nella sala consigliare, in occasione della celebrazione del 40° anniversario della liberazione, Gino Gusella testimoniò la sua partecipazione al gruppo di giovani che rimasero vittime del tragico eccidio di Ponte Ruffio il 18 agosto 1944 e come ne uscì vivo. La testimonianza inizia dal gennaio 1944, quando il gruppo di giovani di leva, data la situazione d’incertezza di quei momenti, si rivolse al comandante del porto, il maresciallo Poggioli, per essere inquadrati nel servizio militare marittimo di questa zona. Il gruppo fu immediatamente inviato a Venezia per far figurare l’appartenenza alle Forze Armate della R.S.I. ed evitare quindi di essere spediti in zona di guerra.

Dopo alcuni giorni il gruppo venne assegnato al faro militare di Cesenatico dove rimase fino alla seconda metà di luglio ’44 fino allo smantellamento dei fari eseguito su ordine del comando tedesco, data l’avanzata delle truppe alleate. In conseguenza di ciò gli addetti al servizio militare erano stati comandati di spostarsi al Nord ed allora il maresciallo propose ai suoi ragazzi di rifiutare di prestare servizio nelle Forze Armate della R.S.I. e organizzare la diserzione. Così fu deciso: procurato un motocarro, con i loro zaini stavano per partire alla volta di Ravenna quando furono fermati da una pattuglia tedesca e accompagnati al comando di stanza alla “Villa Bianca” in Viale dei Mille, angolo viale Trento. Mentre erano fuori in attesa, il maresciallo Poggioli chiese alla sentinella se potevano recarsi al vicino panificio per prendere un po’ di pane. Ottenuto l’assenso, il gruppo partì e si dileguò per via Montaletto e trovò rifugio presso la famiglia Prodi.

Qui i disertori restarono circa un mese, avendo sotterrato il motocarro, ma dato il rischio dei sempre più frequenti rastrellamenti nazi-fascisti, tramite il partigiano Dino Ricci di Cesenatico, si decise di raggiungere la zona operativa della 8° Brigata Garibaldi. La prima tappa era la zona di Badia di Longiano, dove c’era ad attenderli una staffetta che li avrebbe accompagnati fino a Pieve di Rivoschio ma, nota Gino Gusella, stranamente la staffetta osservò che l’armamento di cui disponevano era di tipo troppo leggero e che dovevano tornare a rifornirsi di armi più adatte. Ciò comportò una fatale perdita di tempo, perché dovettero tornare nella campagna vicino al Palazzone, (dove era sfollata la famiglia del Gusella), nella zona dell’essiccatoio, procurarsi le armi e poi, il 18 agosto, ripartire per Ruffio di Cesena dove doveva rilevarli un’altra staffetta che però non c’era. Dopo aver atteso circa due ore, dalle 10 alle 12, si fermarono in casa del colono Pieri alla destra del ponte di Ruffio.

Qui nel pomeriggio vennero raggiunti da altri tre partigiani, di cui uno ebreo, per un totale di dieci persone. Non erano certo al corrente che il giorno prima, 17 agosto, il partigiano Fariselli era stato fermato in località Gattolino e, portato al comando della Brigata Nera di Cesena, in seguito a botte e torture aveva rivelato il nascondiglio dei dieci partigiani. Nella tarda serata del 18 agosto, mentre uno del gruppo era fuori per cercare la staffetta, la casa del Pieri venne circondata. All’altolà, il maresciallo rispose prontamente “Criegmarine” (marina militare), ma i fascisti comandati dal duo Garaffoni – Valducci con qualche tedesco, li immobilizzò, legandoli con le braccia intrecciate dietro la schiena e spingendoli sul ponte di Ruffio. Giunti circa a metà del ponte, nel buio della notte, erano circa le 23, i prigionieri, legati tra loro, vennero fatti girare ed immediatamente colpiti con alcune raffiche di mitra. Racconta Gusella che subito dopo furono slegati e chi ancora gemeva per le ferite veniva ucciso con un colpo di rivoltella alla nuca.

Anche lui fu sollevato per i capelli ma visto che non dava segni di vita venne abbandonato a terra. Gino Gusella, essendo stato gravemente ferito ad un braccio, dopo aver atteso alcuni interminabili minuti nel silenzio della notte, si trascinò via dai compagni morti e scivolò nell’alveo del Pisciatello, raggiungendo con grande fatica una famiglia di conoscenti nella zona di Villa Casone, poco distante. Lì, dopo le prime cure ed essersi un po’ ripreso, prima dell’alba vagando per i campi si portò nei dintorni della casa dei Sintoni, nella campagna di Villalta, per poi dirigersi, sempre strisciando tra i cespugli, verso Montaletto. Intorno alle 5 del mattino (del 19 agosto) incontrò due donne che lo riconobbero e lo curarono e una di esse andò ad avvertire la famiglia che immediatamente lo portò in un rifugio più sicuro, in quanto la zona era infestata dai tedeschi. Travestito da donna, insieme alla madre raggiunse il rifugio di famiglia vicino all’ex essiccatoio, dove rimase fino alla liberazione di Cesenatico.

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