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Cronaca

"Ci auguriamo una guerra per vedere cosa farebbero i leoni da tastiera": intervista agli Zen Circus

La band pisana suonerà il 29 aprile al Vidia club. Il batterista Karim: "Dai social trasuda una sete di odio, ci chiedevamo cosa potrebbe succedere se davvero arrivasse la guerra"

ATTENZIONE: il concerto, inizialmente previsto per domenica 16 aprile, per motivi di salute del cantante è stato reinviato a sabato 29 aprile.

Dopo il successo della prima parte del tour "La terza guerra mondiale" (20 date tutte sold out con 15.000 biglietti venduti), gli Zen Circus arrivano al Vidia club di San Vittore sabato 29 aprile, per una Pasqua al suono di musica rock.

Il gruppo pisano, composto da Andrea Appino (voce, chitarra e armonica), Karim Qqru (batteria) e Massimiliano "Ufo" Schiavelli (basso), ha pubblicato l'ultimo disco "La terza guerra mondiale" lo scorso settembre per "La Tempesta dischi". L'album ha riscosso un grande successo di pubblico e critica, raggiungendo la sesta posizione in classifica.

Abbiamo incontrato il batterista della band, Karim, per fargli alcune domande sul nuovo album in vista del concerto.

Con il primo album ("Andate tutti affanculo") ci avete mandato tutti a quel paese, nel secondo ("Nati per subire") ci avete raccontato che la vita è sofferenza, nel terzo ("Canzoni contro la natura") ci avete messo contro la natura e adesso ci augurate la guerra, "una vera e non sulla tastiera". Ci volete proprio male, eh?
Quando abbiamo fatto questo disco la nostra intenzione non era quella di parlare della situazione politica attuale. Per "terza guerra mondiale" intendiamo innanzitutto un auspicare - chiaramente in modo ironico - una nuova guerra per vedere come si comporterebbero quelle persone che si augurano l'arrivo di una guerra per poter difendere la patria e mandare via "a calci in culo" gli invasori. Dai social trasuda una sete di odio, ci chiedevamo cosa potrebbe succedere se davvero arrivasse la guerra, come si comporterebbe la gente se dovesse mettere in pratica tutto quello che quotidianamente viene "sputato" online, soprattutto in un momento storico in cui la leva militare non è più obbligatoria: io che ho 35 anni ricordo che quando la leva era obbligatoria c'era molta meno voglia di guerra, c'era più paura.
Dall'altra parte il disco parla anche di una guerra contro noi stessi: i social stanno prendendo sempre più spazio all'interno della nostra sfera emotiva, e quando apriamo un profilo Facebook o Instagram ci creiamo una "second life", provocando una sorta di conflitto interiore. Si rafforza sempre di più il legame tra vita social e vita reale, non si riesce più a scindere le due cose e diamo troppa importanza alla nostra vita online: tutti i discorsi che prima erano al bar o nei circoli ora ce li ritroviamo sui social, è una cosa che ci fa molta paura. Vediamo un allentarsi di quella voglia di vivere la collettività guardandosi negli occhi, ci nascondiamo dietro a uno schermo in cui ci sentiamo protetti ma allo stesso tempo impauriti.

Parliamo della canzone "Pisa merda". "La provincia crea dipendenza, se non ci sei nato non lo puoi capire": il tema della provincia ritorna spesso nei vostri testi, il rapporto che avete con lei è una sorta di "odi et amo"?
Tutti e tre veniamo da contesti di provincia. Io vivo a Forlì da 6 anni e spesso torno in Sardegna, ma sono cresciuto a Pisa. La provincia regala cose bellissime e cose tremende, ci ha dato Cesare Pavese ma anche i sassi lanciati dal cavalcavia. "Pisa merda" non è una canzone contro Pisa, ma la città viene presa come esempio per parlare del contesto sociale della provincia, in cui se da un lato c'è un "mutuo soccorso" che vive attraverso gli abitanti di una piccola città, dall'altro c'è quella "mancanza d'aria" che spesso si respira nei piccoli borghi. Una cosa che mi stupisce è come le province del nord e quelle del sud si assomiglino tanto. La provincia ha tanti lati belli: io ho provato a vivere a Roma per un anno e ho scoperto che non sono fatto per le grandi città, sono nato e cresciuto in provincia e credo che ci morirò. La nostra fortuna, però, è quella di fare un mestiere che ci porta sempre in giro, dandoci la possibilità di uscire dal contesto provinciale e "prendere ossigeno".

Tra i commenti al video di "Zingara", creato mettendo insieme alcuni tra i commenti razzisti più popolari, ce n'è uno che dice "Grande, sono finito in un video degli Zen!". Una persone che si rallegra di essere stata additata come razzista solo per avere ottenuto mezzo secondo di visibilità su Youtube, non è un po' agghiacciante? È questa la "guerra sulla tastiera" di cui parlate?
Quando abbiamo scritto "Zingara" abbiamo scelto un argomento che suscitava in noi una forte rabbia, un disagio e un senso di malessere interiore: questo perchè lo sviluppo dei social ha portato a galla tutti quei discorsi da bar che spesso avevamo la fortuna di non sentire o che venivano prontamente "sedati", spiegando a chi li pronunciava l'assurdità della cosa. Ora non ci sono più filtri, c'è una grande disimpatia nei confronti degli immigrati (ma non solo). "Zingara" è la prima canzone scritta dagli italiani - o almeno da una parte di loro. Le critiche che ha suscitato, seppur in una parte minuscola dei nostri ascoltatori, non ci hanno meravigliato: è un pezzo che fa leva sul qualunquismo, perchè è il qualunquismo che alimenta il populismo che a sua volta alimenta questo vortice di odio, ignoranza e incomprensione che crea un razzismo sempre meno latente e più diretto. Sarebbe stupido negare che la situazione dell'immigrazione in Italia è complicata, ma questo non giustifica la perdita di umanità. L'uso spropositato dell'epiteto "buonista" e dei vari "ospitateli a casa vostra" esprime la pericolosità del web che è progredito in maniera troppo veloce, provocando un cambiamento antropologico indomabile. La canzone non ha una connotazione politica: abbiamo conosciuto persone di destra e di sinistra che la pensano allo stesso modo su questo tema. Io capisco la rabbia sul momento, l'anno scorso mi sono entrati in casa i ladri e in treno hanno tentato di derubarmi, ma dobbiamo cercare di capire che quello ci differenzia dalle bestie è la capacità di domare quel fuoco di rabbia e di odio che ci acceca in certi momenti. Se non ci riusciamo andiamo sempre di più verso un disagio collettivo. Comunque in questo disco non c'è un "j'accuse", a volte ciò di cui ci lamentiamo al suo interno fa parte anche del carattere di noi tre.

Nel brano "Andrà tutto bene" dite: "Quello che dalla musica la gente vuole è sentirsi dire che andrà sempre tutto bene". Come la vedete la scena musicale italiana in questo momento? Mi pare che stiano emergendo cantanti tutt'altro che allegri, tipo Calcutta.
Credo che da un lato sia giusto che la musica possa avere una funzione terapeutica positiva, è bellissimo che una persona torni a casa e metta su un disco per sentirsi "coccolata" e rassicurata. Noi, però, facciamo altro. Sinceramente non ascolto molta musica italiana contemporanea, spesso arrivo in ritardo "tragico" a scoprire gruppi che sono già in voga da parecchio. Il panorama musicale italiano attuale, secondo me, non è negativo: c'è un interesse alto e si vede dai numeri, ogni anno escono sempre più dischi. Ci sono tante band a livello trasversale che portano avanti una visione musicale che cerca di distaccarsi sempre di più dagli stereotipi, si cerca di dare alla propria musica una caratteristica un po' meno "figlia" dell'America e dell'Inghilterra. 

Un artista italiano e uno straniero con cui vi piacerebbe collaborare?
Un'artista straniero che piace a tutti e tre è Chelsea Wolfe, una grandissima musicista che mischia sonorità da cantautorato all'avanguardia metal e all'elettronica. A livello italiano a me sarebbe piaciuto tantissimo lavorare con Ivan Graziani, Andrea e Ufo non so cosa risponderebbero. Abbiamo avuto la fortuna di collaborare con tanti dei nostri miti di gioventù, come i Violent Femmes, i Pixies, i Talking Heads e Nick Cave.

"Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi": cosa dobbiamo aspettarci da questa Pasqua "Zen"?
Una classica festa Zen, sarà un concerto di due ore. Per ora siamo contentissimi di questo tour, è il migliore della nostra carriera: nella seconda parte del tour tutte le date sono andate sold-out, molto spesso già in prevendita. Vivendo a Forlì mi sono reso conto che in Romagna la musica si vive in maniera più peculiare, più privata, nonostante alcuni dei locali musicali più importanti d'Italia sono nati proprio qui, come lo Slego, il Velvet e appunto il Vidia, che è un bellissimo locale gestito da una grandissima persona, Libero Cola, che è sempre bravissimo a chiamare a Cesena grandi gruppi nazionali e internazionali.

Ma soprattutto, cosa dobbiamo aspettarci dal prossimo album degli Zen? L'auspicio dell'estinzione dell'essere umano?
(ride) L'estinzione speriamo di no! Cominceremo a lavorarci nella pausa tra il tour primaverile e quello estivo. Chi lo sa di cosa parlerà: ogni volta c'è molto poco di calcolato. Per l'ultimo album abbiamo tenuto fuori trenta canzoni, che però non faranno parte del disco nuovo perchè abbiamo già tante nuove idee e preferiamo sempre "dipingere il momento" che viviamo quando facciamo uscire un disco.

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