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Cronaca Savignano sul Rubicone

Anteprima del Si Fest. Intervista all'esperto di fotogiornalismo

Fabio Severo racconta come è cambiato il mestiere del fotoreporter e ne svela la natura ibrida a cavallo tra il giornalismo e l'arte. L'ultima frontiera? Si chiama slow journalism.

Il nove settembre il Si Fest, il festival della fotografia savignanese, spegnerà le venti candeline, una per ogni edizione. Conto alla rovescia quindi per l’appuntamento con l’immersione nel mondo di immagini e foto che la tre giorni incarna con un palinsesto fitto di contributi (www.savignanoimmagini.it). Secondo i curatori della rassegna, Stefania Rossl e Massimo Sordi, c’è un diffuso senso di fragilità che sembra accomunare esperienze eterogenee riassumendo, in un termine unico, la complessità del vivere contemporaneo. Da qui il titolo dell’edizione di quest’anno: Fragile.

Tagliato il traguardo dei venti anni voltarsi indietro per apprezzare il percorso fatto è lecito. Tutto è iniziato in Piazza Borghesi dove fotografi e appassionati si incontravano per discutere e commentare i propri lavori. Queste sono le radici di un festival che è cresciuto proprio nel pieno di un cambiamento radicale che ha segnato la storia della fotografia sia come prodotto che nella sua utilità: la nascita del digitale.
Proprio questo passaggio, unito alle nuove tecnologie che negli anni si sono avvicendate, ha influito anche sulla professione del fotografo e in chi lavora per l’informazione.

E’ il caso del fotogiornalista, una mestiere che sarà al centro della tavola rotonda di sabato 10 che ha come moderatore Fabio Severo. Fotografo, curatore del blog di fotografia contemporanea Hippolyte Bayard, giornalista freelance, insegna fotografia all’Istituto Europeo di Design di Roma; racconta come è cambiato il fotogiornalismo negli anni.
“C’è stato un tempo in cui le riviste fotografiche davano grande risalto alle immagini e qui le foto erano dirompenti. Ora, con la digitalizzazione, se ne producono molte e più che di qualità si dispone di quantità. Oggi l’accessibilità alla notizia non è più esclusiva - prosegue - ciò comporta che stia venendo un po’ meno la figura del fotoreporter all’antica quello che disponeva di immagini esclusive dentro la notizia. Oggi il fotogiornalista è condannato ad essere più riflessivo perchè il contributo può essere ottenuto più facilmente. Di conseguenza ognuno cercherà di mettere in luce il proprio punto di vista”.

Per descrivere la natura del fotogiornalista, Severo usa spesso l’aggettivo ibrido.Questa professione è a cavallo tra il giornalismo e l’arte - prosegue - tutto dipende se le foto sono pubblicate su un quotidiano, una rivista oppure esposte in una galleria. Questo accade perchè spesso le immagini sono fortemente simboliche e metaforiche e, nonostante il contenuto informativo, vengono scambiate per arte per la propria capacità comunicativa”.
Il fotogiornalista che secondo lei si è distinto nell’ultimo biennio? “Sicuramente Rob Hornstra e il suo slow journalism. E’ stata una sfida che ha unito il contributo del reportage ai nuovi mezzi di comunicazione andando in controtendenza rispetto i tempi immediati della comunicazione attuale”.

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