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Oligarchi irresponsabili e popolani saggi

Vignetta Altan Momenti storici-2“Può darsi che questa sera avremo un nuovo capo dello Stato, figlio di una qualche alleanza o forse di un sano ripensamento dell’ultima ora, ma purtroppo non nato da un progetto organico e credibile su cui poggiarsi e da cui partire”. Queste parole sobrie, scritte da Mario Calabresi venerdì scorso su La Stampa, di fatto inchiodano al muro larga parte della classe politica italiana, responsabile di non aver saputo gestire un appuntamento cruciale qual è l’elezione del garante della Costituzione. Ma questo è solo l’ultimo di una serie di nodi venuti al pettine che l’élite, smarrita da vent’anni ed agonizzante da due, non ha voluto sciogliere. Così, mentre il popolo (grillino e non solo) dava il peggio di sé in una blindatissima Piazza Montecitorio, gridando all’inciucio e dando impunemente dei “mafiosi” ai propri rappresentanti, all’interno del Palazzo la “casta” preferiva andare sul sicuro e rieleggere il presidente uscente. Scelta grave, ancorché legittima, perché crea un precedente nella storia repubblicana; ma più significativa e ancor più grave è stata quella di imboccare la via più facile, tirando cioè per la giacca Giorgio Napolitano fino allo sfinimento. Come dire: “Vieni tu, perché da soli non ce la facciamo!”. 

Ecco dove sta tutta l’incapacità dei partiti di assolvere al proprio compito! Pur di garantirsi la sopravvivenza, hanno infiammato il parlamento fino a un’ora prima, grazie ai loro maledetti veti incrociati, strumentalizzato il dialogo con la società civile e politicizzato integralmente l’istituto più alto qual è l’elezione presidenziale. Dalle concessioni per gli stabilimneti balneari alla gestione delle ASL, dalla lottizzazione della RAI alla scelta dei dirigenti pubblici, lo strapotere dei partiti denunciato da Enrico Berlinguer trent’anni fa ha raggiunto l’apice proprio ieri. Che vergogna! Difficilmente si poteva fare peggio. Niente strappi né rotture rispetto al passato, ma una soluzione accomodante in stile democristiano, a scapito delle “consuetudini significative” del Colle già messe in primo piano da Carlo Azeglio Ciampi nel maggio 2006. Tutta questa vicenda non assomiglia alla ridicola manovra del “facite ammuina”? Cambiamo tutto, per non cambiare nulla. 

È un anno e mezzo che aspettiamo un governo politico, e da allora ci hanno propinato ogni diavoleria giuridico-istituzionale, tranne la partecipazione a quel “progetto organico e credibile” teso al rinnovamento. Detto ciò, è sacrosanta la protesta popolare, perché così non si può più andare avanti, ma un conto è una sana opposizione mossa dal reale attaccamento alle istituzioni democratiche, un altro è uno psicodramma collettivo. Un preoccupante moto della pancia, anziché uno slancio del cuore. In altre parole, è accaduto che un popolo storicamente avvezzo allo scaricabarile e sostanzialmente disinteressato al bene pubblico, si sia messo comodamente a sedere negli ultimi due decenni. Ed abbia taciuto. Ha taciuto fino a novembre 2011, ovvero finché non si è cominciato ad intaccare i milioni di interessi privati (salvaguardando le centinaia di corporazioni e le decine di caste); e dopo aver resistito per un anno e mezzo ad un limbo governativo, ieri si è improvvisamente svegliato, prendendo a pretesto la vicenda quirinalizia. 

Insomma, nell’ultima settimana i partiti hanno indubbiamente dimostrato un’imperdonabile inadeguatezza e uno scarso senso delle istituzioni, ma, beninteso, coloro che fino ad ora li hanno votati non sono mica esenti da responsabilità. Inoltre, se da un decennio cresciamo a tassi da Terzo Mondo e all’estero ci guardano esterrefatti, non è solo colpa del governo di turno, ma anche di coloro che sono rimasti a guardare o che hanno addirittura lucrato sullo stallo del Paese. Tutti noi, in misura maggiore o minore, abbiamo avuto l’occasione di reagire, ma chi si è attivato? Oggi quindi abbiamo il dovere civico e morale di agire costruttivamente, di indignarci, di ammettere almeno le nostre responsabilità. 

Ieri per esempio girava questo saggio commento su Facebook, di Bepo Merlin, a conferma che non tutta la “base” vuole abbattere il “sistema” a prescindere: “Il problema è proprio questo: i nostri rappresentanti sono come noi, mentre dovrebbero essere “migliori” di noi, moralmente e politicamente. Un tempo c'erano dei luoghi di formazione per politici: le scuole di partito, l'Azione Cattolica. Adesso i candidati devono essere presi dalla “Società Civile”: l'osteria, la sala da pranzo di Arcore, Facebook, gli albi professionali (quando va bene). Ormai il Parlamento è formato per l'80% da gente “prestata” alla politica. Come si sa, ogni prestito è gravato da interessi. E li stiamo pagando”.

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