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Venerdì, 19 Aprile 2024

CesenaToday

Redazione

Macché Terza Repubblica!

Coloro i quali ritengono che ci stiamo dirigendo verso la Terza Repubblica, a cominciare dai giornalisti, sbagliano, sia in termini formali che sostanziali. Come è già accaduto con il passaggio alla cosiddetta Seconda Repubblica, non cambia la forma perché non è cambiato il regime. Sì, è mutato il sistema partitico, gli schieramenti, qualche faccia in Parlamento, ma non si è riscritta la Costituzione, né è cambiata la forma di Stato o di governo. Non cambia nella sostanza, poi, perché la natura dell’eventuale riforma è squisitamente culturale e morale, come hanno dimostrato il primo Risorgimento e la lotta di liberazione dal nazi-fascismo (non a caso definito “secondo Risorgimento”). 

 
Quindi, anziché coniare slogan che illudono o addirittura disinformano, è anzitutto dovere degli addetti ai lavori spiegare che un conto è cambiare i mobili di casa, un altro è buttarla giù e ricostruirla dalle fondamenta, come hanno fatto per sei volte i francesi.
 
A pensar male si fa peccato, ma viene spontaneo chiedersi perché, da due anni a questa parte, ogni forza politica, non solo partitica, invochi il cambiamento, il rinnovamento, la “rottamazione”, il “New Deal”. Non sarà perché si punta ad ottenere un posto al sole a buon prezzo? L’abbiamo già visto vent’anni fa questo film. Correva l’anno 1994 e non si faceva altro che invocare genericamente la libertà, le riforme istituzionali, la riduzione dei costi della politica, meno Stato, meno tasse per tutti e via discorrendo. Ma chi è contro la libertà, la razionalizzazione della spesa pubblica o l’abbassamento delle aliquote fiscali? Opporsi alle riforme è come opporsi alla pace. Eppure i conflitti e la violenza, di fatto, perdurano, come di fatto è stata “firmata una delega in bianco ai politici”. Una delusione preannunciata. A tal proposito, ricorderò sempre quello che mi disse, proprio in quegli anni, un artigiano veneto, stanco delle facili promesse e delle cocenti delusioni: “Voterò il politico che mi prometterà di alzare le tasse”.
 
Detto ciò, come si fa ad indurre al rinnovamento un popolo politicamente immaturo e storicamente conservatore, che fatica ancora a liberarsi di un maschilismo strisciante e che vive in uno stato puntellato da svariate, agguerrite corporazioni (farmacisti, tassisti, tabaccai, sindacati dei lavoratori, notai, medici, avvocati, giornalisti, ecc), nella cui capitale si trova una teocrazia con la quale ogni governo italiano ha dovuto sempre venire a patti? Quello che intendo dire è questo: la rifondazione di una Repubblica non dipende da una forza politica portatrice di buoni propositi e rinnovata solo nella forma. Se c’è una cosa di cui l’Italia non ha bisogno, è un nuovo partito. Piuttosto, non è giunto il momento di guardarci allo specchio e chiederci se, all’origine del marcio, degli sprechi, delle inefficienze, ci sia un pesante fardello morale collettivo? La “questione morale” evocata da Enrico Berlinguer trent’anni or sono preconizzava proprio questo.
 
Come scrisse Carlo Galli tre anni fa: “Perché l’intero Paese non rischi di trasformarsi in un deserto morale, oltre che in una società inerte e inefficiente, e di pagare il proprio deficit collettivo di virtù democratica con la moneta della decadenza, qualcuno dovrà combattere credibilmente contro il cinismo, la rassegnazione, la passività, il conformismo, il mancato rispetto di sé e degli altri. Con un programma – in qualche misura neo-risorgimentale – di una riforma morale degli italiani, si tratta di ricominciare dai pochi (che saranno certo tacciati di moralismo, azionismo, giacobinismo), cioè da élites nuove o rinnovate, la cui rigorosa esemplarità sappia riportare la decenza e la vergogna fra le virtù civili della nostra democrazia” (la Repubblica, 05/09/2009). Il Paese, quindi, non ha bisogno di un make-up artist di grido, ma di un brillante ingegnere politico di altissimo spessore morale! Ciò a cui stiamo assistendo, oggi come ieri, sono solo intrighi, strategie mediatiche preelettorali, insomma tecniche di maquillage. Confondono, anziché educare. Altro che Terza Repubblica. Qui bisogna mettersi nell’ordine delle idee di combattere – tutti – per un Terzo Risorgimento.

Macché Terza Repubblica!

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