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Redazione

La “presentite” e il “mal di Storia”

Recentemente ho conosciuto un ex partigiano del Battaglione Corbari, che resistette ai nazifascisti tra il ’44 e il ’45 nella zona appenninica tra Forlì e Ravenna. Si chiama Sergio Giammarchi ed abita a Forlì. “Classe ’26, ‘rudarè’ (arrotino) per cinquant’anni”, come dice lui. Mi ha regalato un piccolo opuscolo autobiografico, cui ha contribuito la CNA. Un romanzo personale, una storia commovente fatta di tragedie e dolori, ma anche di gioie e soddisfazioni. Un racconto lucido di un pezzo di storia italiana impolverata; rivolto ai giovani, cui “spetta il compito di difendere la Pace, mai inneggiare alla violenza e alla guerra”. Sessantotto anni dopo l’impiccagione dei suoi amici Silvio Corbari, Adriano Casadei, Arturo Spazzoli ed Iris Versari, esposti per un giorno intero in piazza a Forlì, Giammarchi ancora si commuove, mentre continua imperterrito ad incontrare le scolaresche, a partecipare come ospite a conferenze, a raccontare la sua verità scrivendo al computer.

Poi leggo le notizie di questi giorni ed apprendo che, la settimana prossima, in occasione del 90° anniversario della Marcia su Roma, l’omonimo Comitato terrà a Perugia un convegno culturale, nello stesso giorno e nello stesso “Quartier Generale della Rivoluzione Fascista”.
Dov’è l’errore, la distorsione? Qual è il cortocircuito storico a causa del quale non riusciamo a progredire, sdoganando un ventennio di imprese grandiose, sì, ma pagate a caro prezzo? Qual è il meccanismo educativo che si è inceppato? Perché “gli Italiani non riescono ad andare a destra senza finire ‘nel manganello’”?

Credo perché siamo vittime inconsapevoli di un paradosso culturale: pur avendo un passato straordinario, lo conosciamo poco e lo valorizziamo ancor meno, cosicché la saggezza e il progresso civile non possono attecchire. “L’Italia è un Paese di ‘contemporanei’, senza antenati, né posteri, perché senza storia […] assolutamente ignaro di se stesso”. Parole che hanno un peso maggiore se, a pronunciarle, è un giornalista di indiscussa professionalità e con simpatie fasciste, per lo meno in gioventù, come Indro Montanelli.

Forse siamo ammalati di “presentite”, di una patologia della memoria a causa della quale chiudiamo il passato in cantina, vivendo solo un eterno presente; quindi senza sedimentazione, né apprendimento. Ernesto Galli della Loggia, pochi giorni fa, scriveva: “La politica ha smarrito il senso del passato; perché nei suoi attori e nei suoi istituti - come del resto in tanta parte del Paese - si è spenta ogni idea d'Italia e della sua storia; di che cosa sia l'Italia. Dobbiamo ricominciare dall'Italia, ritornare a guardare ad essa. Sì, l'Europa naturalmente, ma è qui, entro di noi, nella nostra storia, che qualcosa si è inceppato, ed è da qui che dobbiamo ricominciare: dalla necessità di ricostruire un filo e un legame con il passato, di tornare a pensare a ciò che siamo stati. L'unica speranza che il Paese stia in piedi e reagisca, oggi risiede nella sua consapevolezza della propria identità […] Se vuole avere un futuro, l'Italia ha bisogno di tornare a credere in se stessa, e per far ciò ha bisogno di ritrovare quel senso e quel ricordo di sé che ha smarrito”.

Torniamo ad una domanda già posta: chi si farà carico di rileggere con obiettività le azioni dell’una e dell’altra parte? Chi riuscirà a sganciare la propria verità da ogni connotazione politica, superando ataviche contrapposizioni e ostilità? Quale delle parti in causa ammetterà innanzitutto i propri errori, anziché sbandierare solo le proprie gesta? Chi, fra i decisori, introdurrà una cura al “mal di Storia” di cui, in larga misura, siamo portatori sani inconsapevoli? Chi introdurrà finalmente un programma serio di Educazione civica? Chi, soprattutto, ne ha l’autorevolezza e la forza morale? La posta in gioco è alta, altissima. È l’identità nazionale, senza la quale un Paese non può guardare serenamente al futuro.
 

La “presentite” e il “mal di Storia”

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